Il Napoli, invece, per aver vinto 2-1 a Lecce senza brillare, è da ieri sera sottoposto a processo per presunta fine della grande bellezza
Ogni volta che provavo a guardare, negli anni scorsi, partite dell’Inter o della Juventus (e perché no, anche del Milan senza quel Leao) che stavano andando a vincersi il campionato, ero costretto a cambiare canale per quanto a mio avviso giocassero male.
E trovavo strano che nessuno lo facesse notare, e che le si incensasse lo stesso.
Ora, guarda caso, mi tocca leggere che non fa nulla se il Napoli ha compiuto un ulteriore passo decisivo per la vittoria del campionato, perché quello che conta per gli addetti ai lavori (ma saranno così addetti, poi?), quelli stessi che non hanno mai proferito parola sui modi di vincere delle squadre di cui sopra, è che sembra avere perso la grande bellezza che lo contraddistingueva.
Davvero tutto pittoresco, molto pittoresco.
Il primo gol del Napoli nasce da una manovra molto bella ed incisiva, che si sviluppa sugli effetti di una punizione dalla propria tre quarti non andata buon fine.
La batte Mario Rui, e la palla arriva, dopo una lunga traiettoria a spiovere, nella zona del vertice dell’area piccola presidiato da Kim, che si trova lì evidentemente perché con l‘intenzione di andare a saltare aggirando la linea difensiva del Lecce (che guarda verso la direzione opposta, quella cioè da cui proviene il traversone).
Kim stoppa il pallone che gli arriva dopo un tentativo di colpo di testa di un uomo nella mischia a centro area e lo scarica su Lozano che si trova poco fuori dal limite insieme a Anguissa.
Si innesta, quindi, subito un’azione a tre.
Lozano, appena ricevuto il pallone, lo passa allo stesso Anguissa, il quale lo scarica di nuovo a Kim, lungo la linea dell’area e nello spazio che il sud coreano sta per andare ad aggredire.
Kim scatta lungo quella linea di campo e di prima, dimostrando per l’ennesima volta di avere un piede molto educato, lo mette di prima in mezzo per il colpo di testa di Di Lorenzo, il quale, come spesso accaduto quest’anno, lascia la sua fascia di competenza alla “catena” dei suoi compagni che hanno costruito l’azione per andare a riempire l’area e sfruttare le sue doti di ottimo colpitore.
Ed infatti, la palla crossata da Kim gli arriva tesa e con quel minimo effetto a rientrare che gli consente, in pratica, di colpirla da fermo imprimendole la giusta angolazione e velocità per direzionarla laddove il portiere avversario non può arrivare.
Il gol del pareggio del Lecce viene subito dal Napoli su una falsariga un po’ pericolosa, se dovesse continuare a questa stregua, che ha caratterizzato per la verità quasi tutta la partita di ieri.
Durante una parabola del pallone che arriva su un calcio da fermo battuto dal Lecce quasi sula linea di centro campo, con un pallone che arriva a spiovere lento sui blocchi difensivi azzurri già sistemati dentro la propria area di rigore, si combina il pasticcio.
Ed infatti, nonostante lì arrivi un pallone lento e di facile lettura, la difesa del Napoli lascia prima prendere il pallone ad un saltatore del Lecce (che stacca un una zona ad alta densità d difendenti azzurri e di loro superiorità numerica), poi ancora lo lascia colpire ad un attaccante avversario a cui il pallone arriva per sponda del primo colpitore della squadra salentina.
La palla colpisce la traversa e carambola nella mischia di centro area, dove ancora una volta la difesa del Napoli è lentissima nell’andare a chiudere spazio e linea di tiro, così da dare a Di Francesco la libertà di arrivare per primo sul pallone (quasi indisturbato), stopparlo girandosi su se stesso e calciare a rete.
Lentissimi, poco reattivi e con scarsa capacità di dividersi avversari e spazi dell’area da coprire: davvero una pessima azione difensiva del Napoli, che ieri è sembrato ancora poco reattivo in tutte le circostanze simili a quella dell’azione del pareggio.
Il Napoli, tuttavia, per fortuna poco dopo si riprende in mano la partita e segna il gol del definitivo 2 a 1 con una tipica azione a due tra Kvaratskhelia e Mario Rui.
Il georgiano riceve, come al suo solito, palla lungo la linea del fallo laterale della sua zona di competenza (altezza tre quarti avversaria) e si accentra per lasciare lo spazio dietro di sé libero per il portoghese.
Che capisce l’intenzione del compagno e subito si getta ad aggredire quello spazio, per ricevere il pallone appositamente lasciatogli lì dal georgiano con il solito colpo di tacco, con la solita difesa avversaria che, troppo tesa a cercare di capire se il georgiano punterà o meno la parte centrale dell’area, non si preoccupa della manovra di appoggio del terzino azzurro.
Mario Rui appena arrivato sul pallone fa la scelta (ottima) di crossare di prima così da rubare un tempo di giocata e di piazzamento ai difensori avversari.
Che, infatti, si trovano con posture del corpo e tempi di ritardo tali da produrre l’autogol che si produce, da parte dell’ultimo difendente che, seppure andato a chiudere la diagonale difensiva, è troppo preoccupato della possibile entrata di Anguissa e sbatte il pallone nella sua rete.
Piccola nota margine: in linea teorica, è comprensibile la preoccupazione del difensore del Lecce, perché quel pallone un centrocampista alla Diego Simeone (ma di centrocampisti così ne nascono 1 ogni 30 anni) non aspetta che caramboli contro il corpo dell’avversario, ma lo va a colpire di testa gettandosi tra i due difensori avversari che ne stanno chiudendo la traiettoria.
C’era spazio, tempo e modo di farlo, ma evidentemente Anguissa (che pure rimane un centrocampista con i fiocchi) non ha giocate come questa.
2 a 1 finale, dicevamo: cammino in campionato ripreso, in barba agli esteti che diventano tali solo quando vince il Napoli, e nuova dimensione con cui tutti noi dobbiamo ingaggiarci.
Quella di essere tornati umani e di dovercela giocare con tutti prima ancora di giocare la partita, al contrario di come abbiamo avuto la fortuna di vivere in questa splendida ed irripetibile stagione.