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Se a Napoli i biglietti devono costare meno, anche Netflix Sky eccetera devono costare meno

POSTA NAPOLISTA – Semmai la protesta dovrebbe essere condotta verso quei imprenditori che nel Napoletano sottopagano i propri dipendenti

Se a Napoli i biglietti devono costare meno, anche Netflix Sky eccetera devono costare meno

La protesta posta in essere da parte di numerosi tifosi del Napoli (gruppi organizzati, ma non solo…) per il “caro biglietti” in Champions League è semplicemente ridicola e fuori luogo. Invece di protestare contro la società che stabilisce prezzi perfettamente in linea con quelli delle altre squadre (che però seguono il Napoli in classifica a distanze siderali!), sarebbe molto più logico e giusto protestare contro quei tantissimi pseudo-imprenditori locali che sottopagano i propri dipendenti riconoscendo loro retribuzioni che altrove vengono elargite per lavori part-time (700/800/1000 max 1200 euro al mese), il più delle volte a nero e senza alcun benefit (leggasi buoni pasto, buoni carburante, premi produzione, etc) per orari di lavoro che vanno dalle 44 alle 55 ore settimanali!

Se Napoli ha un tessuto socio-economico molto più povero rispetto a quello di città come Milano, Torino, etc, la colpa non è certo della SSC Napoli, bensì dei tantissimi “(im)prenditori” del posto che se ne approfittano della disperazione della gente per imporre loro condizioni di lavoro e stipendi da terzo mondo, rendendo di fatto l’intera area partenopea una delle meno abbienti e più represse d’Europa.

Oltretutto la pretesa di alcuni secondo cui a Napoli i biglietti per andare allo stadio dovrebbero costare meno che altrove in quanto qui la gente ha una minore disponibilità economica appare, oltre che assurda, del tutto infondata e pretestuosa, anche perché, se così fosse, allora anche l’abbonamento a Sky, Dazn, Netflix, Amazon Prime, etc dovrebbe costare di meno rispetto a Milano, Roma, Torino, Genova o Bologna, e invece così non è e nessuno si ribella o invoca un prezzo ad hoc per i Napoletani, e lo stesso dicasi per il canone Rai, il costo dell’energia elettrica e del gas, dei telefoni Apple o Samsung, del carburante, delle sigarette, dei biglietti aerei e/o quelli dei treni, delle scarpe Hogan, Tod’s e Nike, dei jeans della Carrera, dei piumini Monclear, etc, tutti prodotti/servizi che hanno un costo più o meno uguale in tutta Italia, senza che nessuno si lamenti o insceni proteste. Così come non risulta che quando un napoletano (o un campano in genere) prenota le proprie vacanze in Grecia, Croazia, a Ibiza, Formentera o a Sharm el Sheikh, goda di uno sconto speciale o un prezzo di favore rispetto ad un abitante del più ricco Veneto e lo stesso accade anche per i concerti dei vari Vasco Rossi, Jovanotti, Claudio Baglioni, Ultimo, Biagio Antonacci, dei Maneskin, etc. Ergo non si comprende per quale motivo il Napoletano si ribella e pretende prezzi popolari soltanto per le partite di calcio della propria squadra del cuore…

Invece di proclamare lo “sciopero del tifo”, un popolo veramente con gli attributi (e che vuole seriamente difendere la Città…) farebbe lo sciopero ad oltranza per pretendere retribuzioni, orari e diritti sul lavoro in linea con quelli del resto d’Italia, anziché accettare supinamente di andare a lavorare in cambio di retribuzioni da fame; invece di lamentarsi e inveire contro la Ssc Napoli perché non possono portare i propri figli allo stadio a vedere la partita di Champions League, i tifosi partenopei farebbero meglio a lamentarsi del fatto che con quello che si guadagna a Napoli e provincia a stento si riescono a pagare le bollette, l’affitto di casa, a fare spesa al supermercato, il rifornimento di carburante, a comprare le medicine, a pagare determinate visite specialistiche e/o esami non coperti dal sistema sanitario nazionale, etc.

Questi sono i problemi veri che affliggono la stragrande maggioranza delle famiglie campane (e dell’Italia Meridionale in generale), altro che il “caro-biglietti” per le partite di Champions League.

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