Al CorSera: «Da bambino provavo gli esperimenti in camera, mamma era convinta che fossi matto: mi portò dallo psichiatra. Feci un trucco pure a lui»
Il Corriere della Sera intervista Aldo Savoldello, in arte Silvan. Il mago del Sim Sala Bim, per intenderci. E infatti gli viene chiesto cosa voglia dire la frase. Silvan risponde:
«Non lo so, era il ritornello di una canzoncina danese anni ’40. Prima la mia parola magica era tactàc-serùmba-yamaclèr, l’avevo inventata io, sente come suona bene?».
Il primo incontro di Silvan con il mondo della magia avvenne quando aveva 7 anni, in vacanza. Era con la famiglia a Crespano del Grappa e alla lotteria del sabato in piazza assistette all’esibizione di un prestigiatore che lo coinvolse nel numero che stava proponendo al pubblico.
«Di colpo fui invaso da un tremore, un’emozione forte che mi sembrava di volare».
Silvan racconta di essere autodidatta («studiavo su vecchi testi di magia comprati alle bancarelle dell’usato nel sestiere di Cannaregio. Mi rifilavano volumi di occultismo, stregoneria, teosofia, esoterismo, leggevo tutto») e di aver dovuto combattere con la propria famiglia non esattamente felice della sua predisposizione verso la magia.
«Chiuso a chiave nella mia stanzetta rifacevo esperimenti appresi sui libri antichi, recitando le formule magiche. Il mio amico, figlio del farmacista, mi procurava i componenti chimici per l’autocombustione. Una volta mi sono bruciato le sopracciglia, un’altra ho dato fuoco alla tovaglia. Tramutavo l’acqua in vino peri miei sei fratelli. “Sto fìo ze mato”, sospirava mamma. Per disperazione papà diede fuoco alla valigia in cui tenevo tutti i miei giochi. E mi portò dallo psichiatra Cappelletti a San Servolo, “l’isola dei matti”. Feci un trucchetto pure a lui. Tagliai in due una cordicella, me la misi in bocca e la tirai fuori intera. Il professore restò a bocca aperta. “Come hai fatto caro?”. “Sono un mago”. “Mi sa che hai ragione”».
A 18 anni vinse il programma Rai “Primo applauso”, presentato da Enzo Tortora e Silvana Pampanini. Fu proprio quest’ultima a consigliargli di cambiare nome.
«“Troppo esoterico. Chiamati come me, ma senza la a: Silvan”. E così mi hanno conosciuto in tutto il mondo, a parte in Germania dove divento Zilvan».
Silvan racconta di avere innumerevoli numeri in repertorio.
«Centocinquanta grandi illusioni, e migliaia di giochi da salotto».
Quanto e come si allena?
«Due ore ogni sera, davanti alla tv. Da ragazzo anche cinque, perché manipolavo le palle da biliardo o 16 sigarette accese. Prendo un foglio di carta, lo appallottolo, lo rilascio, ricomincio. E attacco dei pesetti alle dita — quelli di ottone della vecchia bilancia di mia madre — poi le alzo e le abbasso, a ripetizione».
Tra le cose che non ha mai potuto fare Silvan inserisce il non poter andare a giocare al casinò.
«Non posso giocare a carte al casinò, sono schedato dall’Interpol. Solo dadi e roulette. Ho giocato un anno a Las Vegas, osservando la spinta che il croupier dava alla ruota, riuscivo a prevedere dove si sarebbe fermata la pallina. Vincevo».
Ha assicurato le sue mani?
«Certo. Un tempo per 500 milioni di lire».
Quando è in scena non ha paura che qualcosa non funzioni, che il trucco non riesca? Silvan:
«Non ho paura, ma timore, sempre. Succede che si inceppi un attrezzo, che accada l’imprevisto, ma il pubblico non sa mai cosa andrò a fare, perché non lo svelo in anticipo. Trovo una soluzione sul momento e nessuno se ne accorge».
Qualche volta che è andata proprio storta?
«Eseguivo il numero della donna tagliata in tre pezzi. La ragazza si mosse, la graffiai con la lama e lei quasi svenne. Mi fermai subito. O quando ero chiuso nel baule, ma l’assistente perse la chiave che avrebbe dovuto tenere in tasca. Dovettero chiamare un fabbro a liberarmi, stavo soffocando, me la sono vista brutta».
Chi le costruisce le attrezzature?
«Un falegname fidato e un fabbro di Borgo Pio, Antonio. Ognuno fa un pezzo singolo, quindi non hanno mai scoperto i miei trucchi».
Li ha mai svelati ad anima viva?
«Solo se costretto. Al teatro Sistina, per uno show con Ornella Vanoni, facevo apparire sei colombe bianche che tenevo qui in giardino. Arrivò la protezione animali, convinta che le schiacciassi, dovetti spiegare come facevo. O quando, nel 1982, mi esibii a Versailles per i sette Grandi della Terra: c’erano Ronald Reagan — a cui indovinai quanti soldi aveva in tasca — Margaret Thatcher, Helmut Schmidt, François Mitterrand, Giovanni Spadolini. La sicurezza fu inflessibile, smontarono tutti i miei marchingegni, pezzo a pezzo, svitarono anche le gambe dei tavolini».
Altre diavolerie? Silvan:
«A Sanremo feci sparire 25 persone in diretta tv. Anna Falchi l’ho fatta levitare. Carmen Russo e Gabriella Carlucci le ho tagliate in due con la sega circolare. Raffaella Carrà si sdraiava sulle punte di tre scimitarre. “Mi raccomando eh”, mi diceva ridendo, ma non aveva paura, la adoravo».