Il tennista al Paìs: “I giovani vengono colpiti, sparano. Il tennis? Per avere successo devi essere quasi ossessionato”

Frances Tiafoe, figlio di un minatore e di un’infermiera della Sierra Leone in fuga dalla guerra civile. Ha deciso che avrebbe giocato a tennis nel magazzino del club di Washington dove suo padre lavorava 24 ore su 24. “Dormivo sul lettino per i massaggi e mio fratello nel letto di mio padre. Lavorava tutta la notte”. Un tennista di colore, come Arthur Ashe o le sorelle Williams, o James Blake, ma anche Althea Gibson (la prima afroamericana a vincere il Roland Garros, nel 1956) e Zina Garrison (finalista di Wimbledon nel 1990). Tiafoe li nomina tutti e parla del “problema” razziale in una intervista al Paìs.
“Significa molto per me. Persone di colore che fanno qualcosa di importante in uno sport che normalmente era bianco; rompere gli schemi e dare a più persone l’opportunità di partecipare. Ora ci sono persone che seguono me e il mio sport”.
“La mia famiglia mi ha insegnato che lavorando sodo si possono fare delle cose. Mettiti al lavoro e impegnati a farlo; metti dedizione e credi di poterlo fare. Se lo fai, puoi ottenere quello che vuoi. Si tratta di essere quasi ossessionati e, sai, di prenderne atto. I miei genitori hanno dovuto litigare, ma in fondo credo di essere stato un bambino felice. Ero bravo a giocare e riuscivo a divertirmi, e il tennis mi ha portato in tanti posti meravigliosi. Mi piaceva giocare e competere, non sono mai stato male per la mia situazione. Ho solo cercato di cogliere l’opportunità”.
“Essere neri negli Usa è pazzesco. C’è troppa violenza. I giovani vengono colpiti, sparano… Guidare ed essere neri può essere pericoloso. Ci sono armi e tutto il resto. Le persone devono unirsi e dobbiamo porre fine al razzismo. Anche io mi sento un attivista. In America tutti noi recitiamo il nostro ruolo e questo mi piace”.
Gli chiedono del gioco, di Alcaraz, lui risponde così: “Prima di tutto vorrei essere ricordato come una brava persona e avere un impatto, ma non solo nel gioco”.