Intervista al Corsera: «La miglior amatriciana l’ho mangiata in carcere. Criticai Zoff per Argentina 78, facemmo pace in hotel, sembrava un western»
Il calcio oggi la diverte?
«No, a parte il Napoli».
Parole e musica di Ricky Albertosi, anni 83, uno dei più grandi portieri del calcio italiano (e quindi non solo italiano). Una vita da romanzo: le sigarette, le donne, i cavalli, il calcio-scommesse, ovviamente le parate. Lo intervista il Corriere della Sera.
Oggi prova a parare i tiri del nipotino.
«Sì, per poi sentirmi dire “ma nonno non ne pari una, che portiere sei!?”».
Sandro Mazzola ripeteva che «il segreto di Albertosi è che si allena poco». Solo perfidia o c’era del vero?
«Perfidia: lui era già in spogliatoio quando facevo l’allenamento vero, specifico».
Per Rocco era «il migliore al mondo, anche se ha tutto quello che odio in un calciatore: fuma, beve, piace alle donne, gioca a carte, punta sui cavalli». Sintesi efficace?
«Sì, è vero, sono sempre stato così, non ho mai nascosto niente. A differenza di altri facevo tutto alla luce del sole e in campo alla domenica facevo il mio dovere».
Liedholm al sabato le chiedeva se preferiva l’ippodromo o il cinema con la squadra: mai accontentato?
«Mai. All’ippodromo passavo un paio di ore in tranquillità. La mia fortuna erano allenatori come lui o Scopigno che mi capivano».
La Nord Corea nel 1966 è la cosa che le brucia di più?
«Sì e mi brucia molto, perché ho fatto 4 campionati del mondo e quella era una grande squadra. Fu una partita incredibile, nella quale ci bastava il pari: non abbiamo sottovalutato la Corea, ma abbiamo sbagliato dieci gol».
Il mitico gol di testa di Pelé nel 1970 era parabile?
«Lo è se mi aspetto che Burgnich non la prenda: lui saltava benissimo e quando l’ho visto scendere ho pensato che Pelé non l’avrebbe più colpita. Invece è rimasto in sospensione, ha dato forza al pallone e l’ha messo sul primo palo, dove un portiere raramente deve prendere gol: ho peccato di troppa fiducia in Burgnich».
Nel 1978 Bearzot non la portò come terzo perché Zoff la soffriva. E lei criticò Dino per i gol con l’Olanda. A lungo lui la evitò, offeso. Quando avete fatto pace?
«Fu sulle scale di un hotel: una scena western, senza le pistole. Ci siamo abbracciati».
In carcere quanto restò? «Una quindicina di giorni». Disse: «Mai mangiati bucatini all’amatriciana così buoni». Altra provocazione?
«No, è vero: c’era un carcerato che li cucinava benissimo. Eravamo rinchiusi, ma liberi e in giro tutto il giorno».
Lei giocò sulla vittoria della propria squadra: di solito non è il contrario?
«Sì e tra l’altro avevo riportato tutto al mio presidente: sono stato un ingenuo, non avrei dovuto parlare con questo amico che mi ha contattato. Abbiamo vinto con la Lazio una partita regolare, feci due parate eccezionali. Io ho sempre giocato per vincere, perché sono un giocatore nato».