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Antonacci: «Da piccolo, quando i miei litigavano, mettevo le canzoni di Iglesias per non sentirli»

Al CorSera: «Quando la gente ti ferma per strada e le ragazze piangono al solo vederti, diventa tutto assurdo. Mi ero montato la testa».

Antonacci: «Da piccolo, quando i miei litigavano, mettevo le canzoni di Iglesias per non sentirli»

Il Corriere della Sera intervista Biagio Antonacci. Cresciuto a Rozzano, nella periferia di Milano, un posto dove non mancano sparatorie, risse e spaccio, racconta che la prima cosa che ha fatto, una volta raggiunto il successo come cantante, è stata «comprare casa ai miei genitori, una villetta a schiera, fuori dal quartiere con i palazzoni dove sono nato» e un posto auto in un garage vero. Antonacci racconta la sua infanzia.

«Io non volevo diventare un cantante, sognavo di fare il batterista. Compravo cassette pirata alla fiera di Sinigaglia, lì c’erano i nostri spacciatori di sogni, nel quartiere invece gli spacciatori di tutt’altro. Sapevo che la musica sarebbe stata la mia grande salvezza e il mio grande rifugio. Il rifugio dalla timidezza e dall’incomprensione, perché la musica è la protezione da qualcosa che non potrei affrontare da solo se non scrivessi canzoni».

Antonacci dice di essere un autodidatta e di non aver mai studiato musica.

«Fino a 10 anni ascoltavo solo Julio Iglesias in tutte le lingue. Era geniale, mi sono innamorato di lui, aveva una voce che portava serenità in famiglia: quando sentivo i miei che litigavano, gridavano e discutevano, io mettevo le sue canzoni e tutto finiva».

I suoi genitori non l’hanno mai ostacolato.

«Quando ero ragazzino erano contenti perché la musica mi portava via dall’attrazione per la delinquenza diffusa che mi circondava. A 19 anni mi sono messo a cercare lavoro come geometra. Dissi loro: non voglio un lira da voi, ma non ostacolate il mio sogno. Per nove anni ho fatto il doppio lavoro: il geometra in cantiere e nel frattempo i dischi. I primi due passarono sotto silenzio, poi nel 1992 ho avuto successo con Liberatemi».

Cosa ricorda con piacere e con terrore di quegli anni di doppio lavoro? Antonacci:

«Con terrore ricordo i no dalle discografiche, giravo con queste cassette che proponevo a tutti, ricordo la paura e la fatica. Come geometra guadagnavo un milione e due al mese e pregavo per guadagnare la stessa cifra ma con la musica. Non pensavo al successo, a diventare famoso, pensavo solo a fare quello che mi piaceva, a vivere con il mio sogno».

Il rischio del successo è l’ipertrofia dell’ego: Antonacci ci è cascato?

«Quando la gente ti ferma per strada, quando le ragazze piangono al solo vederti, diventa tutto assurdo. Per tre/quattro anni ho faticato a contenere l’ego, ho avuto la tentazione di pensare di esser il migliore. Mi ero montato la testa, ero stronzo con me stesso, mi sentivo superiore, sentivo che qualcuno dovesse restituirmi quello che non avevo avuto durante la gavetta, ma era una grande cazzata. Poi con la paternità e la famiglia, torni a camminare con i piedi per terra».

Non aiuta avere gente intorno che dice sempre sì, che compiace…

«Sì. C’è tanta gente che ti lecca il culo, ma vale anche per i parenti. Quando diventi famoso tutti si fanno vivi, sei più simpatico a tutti».

Antonacci elenca i suoi veri amici nel mondo della musica: Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Alberto Fortis. E racconta cosa rappresenta, per lui, la musica.

«Sul palco mi sento libero e sono liberi anche i fan. Ho visto donne, ma anche uomini, desiderosi di incontrarmi, abbracciarmi e baciarmi, ho un rapporto molto epidermico con i miei fan. Anche se non sanno ballare, ballano; anche se non sanno cantare, cantano. E io uguale. Non so ballare, e ballo. Canto per quello che mi serve, non mi interessa essere riconosciuto come un bravo cantante, non ho quell’ambizione, io canto e scrivo canzoni mie. Funziona».

Come l’ha presa «Vorrei cantare come Biagio» di Cristicchi?

«All’epoca lui faceva pianobar e venne a chiedermi il permesso a un concerto a Roma. Gli dissi: “Se vai sul palco stasera davanti a ottomila persone potrai farla”. Da quel momento non ho più ricevuto da parte sua un gesto carino, per una canzone che è tuttora il suo più grande successo. Io vivo di gesti, di empatia umana, il riconoscimento che sta in una parola: uno deve dire grazie, sempre. Io poi esagero, dico sempre grazie a chiunque, anche a sproposito».

Con il Festival di Sanremo Antonacci ha avuto un rapporto deludente…

«Una parte di me dice: “Fa’ una canzone bella e vai”. Un’altra: “Lascia stare, devi essere giudicato, entri in una classifica…”. Fino a poco tempo fa non avevo dubbi: non sarei mai andato in gara. Oggi, con il lavoro di Amadeus, ti viene voglia di fare un tuffo anche se l’acqua è fredda. È il giudizio mediatico che mi frena. Ai tuoi concerti puoi anche essere al 75 per cento e la sfanghi; lì hai quattro minuti in cui devi essere perfetto. O al massimo un imperfetto figo. Se sei il boomer imperfetto fai una figura di merda».

 

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