Sulla Gazzetta. Conosce solo l’estasi della vittoria e questo lo rende vulnerabile. Ha fatto della panchina una trincea di guerra, l’azzardo del tutto o niente

Giancarlo Dotto scrive di José Mourinho sulla Gazzetta dello Sport. L’allenatore della Roma arriva solo alla meta, ovvero alla finale di Europa League. Poche volte in passato una partita così importante è stata presentata come la sfida tra una squadra e un allenatore.
“José Mourinho arriva in magnifica solitudine là dove voleva arrivare. La vertigine del giocatore d’azzardo. Mai, nella sua pur mirabolante storia di allenatore, era stato così vicino al brivido di chi si gioca tutto in una mano. Sbancare o franare. Estasi o depressione. Non ci sono vie di mezzo. José si gioca tutto in novanta minuti, forse centoventi, sul tavolo verde della Puskas Arena. Il titolo lo consacrerebbe come il più importante allenatore della storia romanista, un gradino sopra lo stesso totemico Barone Liedholm. Una sconfitta lascerebbe lui e la Roma con una manciata di nulla in mano e ridarebbe fiato alle trombe dei detrattori. La scelta di fare della panchina una trincea di guerra, la discutibile gestione della stagione, la scelta fin troppo radicale di rinunciare al campionato per puntare tutto sulla roulette del rosso o nero. L’azzardo assoluto del tutto o niente”.
José è solo alla meta, scrive Dotto.
“Poche volte in passato una partita così importante è stata presentata come la sfida tra una squadra e un allenatore. Il Siviglia contro Mou. I due invincibili”.
Alla Puksas Arena
“l’uomo di Setubal sarà come Atlante. Al suo apice titanico dovrà tenere sulle spalle tutta la volta giallorossa. Sarà solo nella vittoria e solo nella sconfitta. Celebrato in un imperatore a vita o pietrificato nella statua senile di se stesso. L’equivalente di Gloria Swanson e del suo tramontante viale”.
Dotto continua:
“Il tallone di Mourinho è solo uno, il suo ego monumentale. A differenza dei veri giocatori d’azzardo, lui non ammette l’estasi della sconfitta. Conosce solo quella della vittoria. E questo lo rende vulnerabile. Non accetterà di perdere questa sera. Peggio, non lo capirà. A meno che non sia davvero cambiato come ripete di questi tempi”.
Se stasera dovesse perdere, la frustrazione, per Mourinho sarebbe totale.
Ha capito subito che quest’anno avrebbe potuto puntare su due cose soltanto: la disponibilità totale di una dozzina di giocatori e la passione cieca dei tifosi.
“Mou si è votato a costruire il suo “mucchio selvaggio”, la versione calcistica di Leonida e del suo pugno di spartani alle Termopili”.
Il tormentone dell’annata è stato sottolineare la pochezza della rosa e rimarcarne, al contempo, il coraggio e l’umiltà, la volontà di fare gruppo. Comunque vada stasera, una cosa si può dire con certezza, conclude Dotto:
“nei suoi due anni romani, l’uomo ha subito e inflitto emozioni più che in tutta la sua carriera. C’era tanta muffa quando è arrivato. E poi c’è stato tanto sangue”.