Al CorSera: «Fino all’altro giorno sembrava che non dovessi partire per le classiche perché ero una chiavica. Delle critiche ormai me ne frego».
Il Corriere della Sera intervista Filippo Ganna. Oro olimpico e mondiale nell’inseguimento a squadre su pista, è anche campione del mondo a cronometro su strada 2020 e 2021 e detiene il record dell’Ora, conquistato a Grenchen (Svizzera) l’8 ottobre 2022: 56,792 km. Sabato sarà al via in maglia Ineos del suo terzo Giro d’Italia: è stato prima maglia rosa a Palermo nel 2020 e a Torino nel 2021, in totale ha vinto sei tappe (5 a cronometro).
Dalla pista alla strada che viaggio è stato, Ganna?
«Ah, allora non sono più solo un pistard? Mi fa piacere! Fino all’altro giorno sembrava che io fossi bravo solo al chiuso, che non dovessi partire per le classiche perché ero una chiavica. La verità è che è tutto un evolversi. Cambiano i percorsi, le biciclette, gli avversari. Non mi evolvo solo io: si evolve tutto il gruppo. Ogni anno si va più veloce, si fanno watt più alti e numeri più grandi».
Si sente abbastanza arrivato come corridore? Ganna:
«Al contrario: credo di essere soltanto all’inizio».
Ganna sembra sempre insoddisfatto. Arrivato secondo alla Sanremo dietro a Van der Poel e davanti a Van Aert e Pogacar ha detto di essere deluso.
«Secondo alla Sanremo vuol dire primo degli sconfitti. Vedo più spesso il bicchiere mezzo vuoto: sono fatto così».
Cos’è la felicità, per Ganna?
«La felicità dura quindici minuti al massimo. Al minuto 16 sono già pronto a rimettermi in gioco. È la mentalità di
chi vuole ottenere qualcosa, deve esserlo: se al primo successo ti siedi, è finita».
Però le critiche pungolano.
«Se sono costruttive, quelle le accetto, non se sono mazzate gratuite. Io non ho nulla da nascondere: mi preparo per me stesso, la bandiera, l’orgoglio, il godimento del tifoso. Non scatto sul Poggio per andare dietro a Van der Poel e mi criticano? Okay, va bene: sono tutti direttori sportivi dal divano di casa. Una volta me la prendevo, oggi me ne frego. Il sangue amaro ho smesso di farmelo. Se qualcuno vuole criticare, lo faccia. Sprecherà parole al vento».
Ganna conclude:
«Non sono masochista, sennò avrei fatto il picchiasassi. È peggio lavorare in miniera: il ciclismo mi restituisce molto di ciò che gli do. Tra le varie forme di ciclismo che pratico, dalla pista alla strada, per me è molto più pericoloso e stressante un arrivo in volata dove rischio di cadere che una salita massacrante fatta a ritmo forte. Il dolore più insopportabile è quello negli ultimi 15’ del record dell’Ora, quando mi sono spinto oltre il limite. Non mi ero mai visto scendere dalla bici con le rughe in faccia! Alla Roubaix, sui sassi del Carrefour de l’Arbre, io spingevo ma i mostri andavano via… Sono sforzi diversi. Sul pavé ho contro il fatto di non venire dal ciclocross, quindi sullo sconnesso faccio più fatica di Van der Poel e Van Aert a fidarmi del mezzo».