Al CorSera: «Gli disse che solo con lui la squadra poteva vincere. Ma lui se ne andò»

Il Corriere della Sera intervista Marco Morricone, figlio primogenito di Ennio. Racconta il padre.
«Un uomo pieno di contraddizioni che viveva in un mondo ancora tutto da scoprire. Profondamente creativo ma faceva un lavoro di scienza, perché la musica è anche matematica. Aveva un animo infantile abbinato a una quantità di studi infinita, rifiutava la melodia ma era un fuoriclasse della melodia».
Morricone e la sua famiglia:
«Era fisicamente presente a casa, perché componeva, era concentrato sul lavoro. Io potevo fare tutto il casino che volevo, purché non ascoltassi dischi. Siamo cresciuti in assenza di musica (compresa la sua). Che era nella sua testa. E non voleva farsi influenzare».
Morricone era un uomo ordinato?
«Era meticoloso. Si ritrovava nel suo disordine. In ogni angolo della casa aveva un taccuino con la penna per fermare una possibile idea. Gli intoccabili lo scrisse in bagno di notte, Sacco e Vanzetti sulla spiaggia al mare, Sostiene Pereira sulla scia di un corteo che manifestava sotto casa. Era terribilmente curioso»
Morricone era tifoso della Roma. Il figlio racconta che provò a convincere Spalletti a non andare via.
«E nel nostro palazzo abitava Spalletti, che all’epoca l’allenava. Era un periodo di tensione tra lui e la società. Papà
andò a bussargli alla porta, gli disse che doveva restare, che solo con lui la squadra poteva vincere. Ma lui se ne andò».
L’ha mai visto piangere?
«Due sole volte, quando morì la mamma di mamma, con cui papà litigava spesso sulla nostra educazione (lui era esigente, austero, severo) ma la recuperò in punta di morte. Poi pianse prima di un concerto nello stadio di San Paolo, in Brasile: ci portarono alla scuola di musica di una favela, c’era solo lo scheletro dell’edificio, i ragazzini suonavano e non c’erano nemmeno le finestre. Una scena commovente. Papà li volle in apertura del suo concerto».
La musica di Morricone buca la pancia. Il figlio racconta:
«Non voleva più scriverla, a casa non suonava più il piano. La penultima musica fu quella per la sua commedia, Valerio, in nome della vostra antica amicizia; l’ultima fu per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova. All’inizio disse no, poi vide sul ponte le 43 luci, una per ogni vittima, e la compose in sei ore».
Tarantino, per il quale Morricone vinse il secondo Oscar, lo definisce il Mozart del ’900.
«Papà diceva che la risposta l’avrebbe data il tempo. È stato un rivoluzionario, prima di lui la colonna sonora accompagnava i film, mentre le musiche di papà vivono senza immagini. A Larissa, in Grecia, hanno il suo culto, le strade sono tappezzate di murales col suo volto. Io ho goduto dei suoi insegnamenti fino all’ultimo. Ma non parlava: dava l’esempio col suo comportamento. Il primo è stato l’etica e il rispetto del prossimo. Noi familiari siamo solo il corollario del suo genio. A mia figlia Valentina che suonava il piano disse: studi 12 ore al giorno? No? Allora lascia stare».
Morricone si svegliava all’alba.
«Prima dell’alba, alle quattro. Per un’ora camminava intorno al salone e alla camera da pranzo, poi faceva una strana ginnastica. Era anti tecnologico. Usava il fax, il numero fisso, il computer non sapeva accenderlo, la musica la scriveva a penna. Cosa mi manca di più? I suoi silenzi».