L’inchiesta della Procura Antimafia spinge a cercare la catena delle responsabilità che coinvolge ministro, prefetto e sindaco
La notizia (data dal quotidiano Il Domani) che la Procura Antimafia sta indagando sulla foto tra De Laurentiis e gli ultras (nell’ambito di un’inchiesta più ampia sui rapporti opachi tra club e tifoserie organizzate) scoperchia una vicenda che a Napoli la stragrande maggioranza ha voluto far passare come un evento del tutto normale. Nessuno si è indignato per quell’incontro all’Hotel Britannique proprio nei giorni in cui al presidente del Napoli era stata assegnata una sorveglianza per la sua incolumità (volgarmente scorta) e pochi giorni dopo quel Napoli-Milan 0-4 in cui alcuni spettatori in Curva B furono costretti a girarsi spalle al campo da parte di esponenti della tifoseria organizzata. Furono raccontate scene di famiglie in fuga dalla Curva, con bambini terrorizzati. Tutto normale per l’opinione pubblica napoletana. Che addirittura si alzò in piedi ad applaudire alla fotografia che De Laurentiis pubblicò su Twitter accompagnata dalla sconcertante frase “Napoli siamo noi” che era lo slogan utilizzato dagli ultras.
Delle responsabilità e del clamoroso autogol di De Laurentiis abbiamo scritto a sufficienza. Ma la domanda ovvia è: che cosa ha portato De Laurentiis a passare così repentinamente dal modello Thatcher sbandierato a ogni occasione possibile alla foto con gli ultras? Un po’ di ricostruzione storica non guasta. In quei giorni a Napoli c’era un clima infernale. Con questa contrapposizione che stava producendo molta tensione, al punto che persino Spalletti disse che se non ci fosse stato il tifo nel ritorno di Champions contro il Napoli, se ne sarebbe andato.
Ma il punto non è Spalletti. Nei giorni della tensione – e con alle porte la preparazione della festa scudetto – De Laurentiis andò a incontrare il ministro dell’Interno Piantedosi. La svolta di questa vicenda nasce quel giorno. Dopo quell’incontro prende corpo l’idea di un incontro tra il presidente del Napoli e membri della tifoseria organizzata. Incontro che in un primo momento si sarebbe dovuto tenere in Prefettura (sigh). Per fortuna – sembra per qualche telefonata della Procura della Repubblica – l’idea venne rapidamente accantonata. E si optò per il Patto del Britannique.
Non è un caso che il Napoli nel comunicato di ieri (in risposta alla notizia della presenza nella foto di Gennaro Grosso l’ultra’ arrestato per le violenze di Napoli-Ajax) abbia di fatto chiamato in correità la Prefettura e la Digos. Scrivendo che dell’incontro la Prefettura di Napoli era stata preventivamente avvisata e che all’incontro erano presenti agenti della Digos. Come a dire: noi li abbiamo incontrati ma tutti sapevano. Il Napoli – con un comunicato debolissimo – ha provato a dire che Gennaro Grosso, detto micio, non era all’incontro ma si sarebbe aggiunto solo per la foto. Tesi inconsistente, trascurando peraltro che l’impatto della foto è nettamente superiore a quello dell’incontro in sé. E pare che nessuno delle istituzioni abbia chiesto la foto. Oggi il quotidiano Il Domani scrive invece che Grosso aveva un ruolo di rappresentante in quell’incontro.
Insomma questa è una storiaccia da qualunque lato la si guardi. E ha tutte le sembianze di una storia a lento rilascio. È una merda pestata, come abbiamo scritto ieri. Proprio per questo è importante accertare la catena delle responsabilità. Chi e cosa hanno fatto cambiare idea a De Laurentiis? Qual è stato il ruolo del ministro Piantedosi? Quale quello del prefetto Palomba? E quale il ruolo del sindaco Manfredi? C’è anche il questore Giuliano che a un certo punto si è defilato. E ci sarebbe, anzi c’è, l’assoluta omertà dell’opinione pubblica napoletana. Ma quella rende solo l’idea del tessuto cittadino.