Cosi come gli sguardi dei microcosmi multiculturali che incroci dal Vasto a Carlo III, a Piazza Garibaldi o a Porta Nolana.
Immerso in una Napoli festante, pirotecnica tra il cielo e la terra, mi torna in mente, in un primo momento, “Morte di un matematico napoletano” e quel Caccioppoli che Martone seppe proporci, sovrapponendo la sua inquietudine a quella della città; contrapponendo il genio alla stucchevole prosopopea su Napoli.
Era il 1992 l’anno in cui si apriva una finestra sull’abisso. L’anno in cui Maradona se ne andò e la città veniva sempre proposta come una cartolina da tirare a lucido ma con fotografi distanti dalla realtà. Così come in questi giorni, cosi come in questi mesi, così come in questi anni. Di tutto si è detto su questo scudetto tranne che è stato rivelatore di una nuova forma concreta di verità: Napoli è finalmente sé stessa senza paura di apparire qualcos’altro. Napoli imbottigliata in un pregiudizio, coperta da una patina intellettualmente scarna di approfondimenti, è esplosa vivaddio senza freni, scappando dai suoi fantasmi, dalle malinconiche rappresentazioni iconiche dei trofei del passato.
Ora il presente cambia il livello di consapevolezza di ciò che è stato per divenire ciò che è, senza l’ansia di dover per forza voler assomigliare ad un racconto non più leggibile ai giorni nostri. I colori, i fuochi, i carri, i canti, i cori, i calciatori. Ha vinto con volti e facce di nazionalità diverse cosi come gli sguardi dei microcosmi multiculturali che incroci dal Vasto a Carlo III, a Piazza Garibaldi o a Porta Nolana. Stiamo festeggiando da oltre due mesi sovvertendo il paradigma medio italiano per cui a Napoli si debba essere per forza scaramantici. Stiamo festeggiando grazie ad una visione di un imprenditore che raccoglie ciò che ha promesso investendo in una città in cui, si dice, funzioni poco o niente.
«È tardi sì. Mi dovevano venire a prendere molto tempo fa» sembra dire lo scudetto per mostrare finalmente al mondo un racconto di Napoli non più filtrato da veline mediatiche, da meme razzisti, da distorte rappresentazioni volgari di tik-toker. Ora, solo ora, il mondo si accorge di una città che pullula di turisti, aperta e tollerante, brillante e ricca di opere d’arte. Un’immagine di Napoli dinamica e non più cartolina dozzinale. C’è stato un momento in cui sembrava l’avessimo dimenticato anche noi per lasciare spazio al qualunquismo italico. Napoli non è più malinconica, Napoli è avanti e solo ora si comprende quanto lo fosse stato, fin da subito, Aurelio De Laurentiis.