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Raf: «Self Control mi creò traumi psicologici. Mi nascondevo per la vergogna di fare musica dance»

A La Repubblica: «Ascoltavo i Pink Floyd e guardavo il tramonto sulle dune di sale arrossate. Sembrava un viaggio su Marte».

Raf: «Self Control mi creò traumi psicologici. Mi nascondevo per la vergogna di fare musica dance»

La Repubblica intervista Raffaele Riefoli, in arte Raf. Il 1 giugno partirà il suo tour, “La mia casa”, titolo del nuovo
disco in uscita a fine estate. Raf racconta il suo esordio nella musica.

«A 11 anni mi esibivo a matrimoni e comunioni. Alle Feste de l’Unità suonavo rock progressive con un gruppo di capelloni. Cercavamo i nostri simili per ascoltare insieme i vinili. A Barletta, pur di improvvisare con sitar e tablas, diventammo adepti di un indiano metropolitano».

Musica e saline, dove il padre di Raf lavorava da operaio.

«Ascoltavo i Pink Floyd e guardavo il tramonto sulle dune di sale arrossate. Sembrava un viaggio su Marte. Per
salvarmi dalla noia, dovevo sognare lontano».

A 17 anni Raf partì per Firenze in autostop. Gli viene chiesto come la presero i suoi:

«Male. Si lasciava il paese semmai per andare all’università, e comunque ospiti da un parente emigrato. Io in città non conoscevo nessuno».

Con Self Control, Raf diventò una star internazionale della disco. Racconta che la visse malissimo.

«Mi creò traumi psicologici. Non sostenevo il compromesso. Mi nascondevo. La mia coscienza diceva: ma non ti vergogni di fare musica dance? L’ho capito dopo che il brano è un piccolo capolavoro».

In “80 voglia di te” Raf torna a quelle sonorità.

«La trap sfuma e gli Ottanta fanno tendenza. Io mi diverto, però canto: “E se penso adesso a quanto siamo soli, in mezzo alle luci del sabato sera”. Vedo tanta solitudine».

 

 

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