Il Napoli ha riconosciuto, disegnato e vissuto il proprio limite, non lo ha attraversato, che è la forza del Mediterraneo, da Omero a Camus
Lo Scudetto del distacco è il terzo.
Il Napoli è lontano da qualunque inseguitore, avversario o sostenitore. Meglio così, perché nella calca è difficile distinguere creditori e debitori.
Lontano dai luoghi d’origine. Dai piani stilati e rivisti. Persino dalle feste legittime. Cosa è la sofferenza necessaria a gioire e cosa è la gioia – vivono, da sempre, in due stanze separate. Lo Scudetto numero tre è quello dell’altrove, un ecumenismo che raccoglie la storia singola anche di quanti altrove ci vivono e non sono stati dimenticati dalle gesta di questi calciatori. Tale vaghezza di tempi e luoghi il primato azzurro ce l’ha nell’animo, così forte che persino i tentativi di dipingere il presidente come unico visionario della scorsa estate sembrano maldestri: al traguardo ci hanno lavorato in tanti ma, a questo epilogo, non credeva nessuno. Neppure il proprietario della giostra – checché ne dica oggi, nel suo meritato gigioneggiarsi per l’occasione.
Il terzo dopo trentatré anni è largo, è per chi sa scommettere e attendere, perdersi in viaggio e tapparsi le orecchie come Ulisse, chi sa amare e abbandonare per continuare ad amare – è Scudetto Vasto, aggettivo e rione, ma non è una palingenesi e lascerà delusi gli illusi: gli sciacalli rimarranno tali, i doloranti continueranno a gridare aiuto. Non chiedete al pallone più di quanto il pallone possa darci.
È, anzi, proprio nella folla di un festeggiamento che bisogna far più attenzione al portafogli. Il calcio aiuta a diminuire la pena che spetta a ogni giorno ma non è una rivoluzione, chi sostiene altrimenti ha sempre una mano pericolosamente nascosta dietro la schiena.
È lo Scudetto per chi ha deciso di non perder tempo con aneddoti sciocchi, quelli dei poveri inviati gettati a trovare il tipo, nascosto da qualche parte, che acquista venti metri di drappo azzurro con un espediente e gli spiccioli dei fantomatici contribuenti italiani – una operazione che vale l’un per mille di una sola delle innumerevoli prestigiazioni che eserciti di commercialisti, in questi giorni, stanno approntando, mentre, come ogni anno, rendono reale l’irreale su milioni di moduli 730. (Eserciti di commercialisti che sfoggiano, al mattino, il quotidiano del suddetto povero inviato).
Non è lo scudetto dell’onestà. Diciamolo chiaro e tondo. L’onestà – liscia – è un valore grigio come uno di quei mediani dimenticabili visti negli ultimi decenni e fortunatamente venduti. Napoli, il Napoli, i napoletani, il sud del mondo non sono più onesti del resto del mondo, perché l’onestà è un traguardo per i mediocri. Il Napoli è stato scaltro ma mai disonesto, che è cosa diversa e assai più meritoria. Ha lottato sempre come ha potuto ma non oltre i propri mezzi, che è cosa ancora più diversa e nobile. Il Napoli ha riconosciuto, disegnato e vissuto il proprio limite, non lo ha attraversato, che è la forza del Mediterraneo, da Omero a Camus. Se esiste un divario, una differenza che questo Scudetto rammenta a tutti, esso sta nel rendere evidente la povertà intellettuale del detto “Vincere è l’unica cosa che conta”, issato a riferimento supremo da una schiatta di assai modesti giornalisti nazionali.
Vincere è, piuttosto, l’unico ricordo che ci rimarrà, dunque l’unico obiettivo per cui valga la pena perdere milioni e milioni di volte, decennio dopo decennio. In questo – sì – il sud del mondo ha ancora molto da insegnare al mondo stesso. Ebbene oggi è il momento che ve lo ricordi, vi piaccia o meno: imparatelo.