A La Repubblica: «Tutte le separazioni sono dolorose. Eravamo ragazzi. E tra di noi c’era un top player. Massimo voleva indagare il rapporto di coppia, l’amore».

La Repubblica intervista Enzo Decaro. Ha fatto parte de La Smorfia con Massimo Troisi e Lello Arena.
È vero che fu lei a convincere Troisi e Arena a partire per la prima tappa del viaggio, verso Roma?
«Quanto mi piacerebbe rispondere di sì. Ma nunn’è over. A Napoli ci venne a vedere Enrico Fiore, principe tra i critici teatrali. Ci disse: “Ma voi dovete andare a Roma, dove fanno il ca-ba-ret!”. Troisi gli si avvicinò e chiese: “Scusate dottò, ma è una cosa buona questo cabaret?”. “A-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e”, replicò Fiore. Io ero semplicemente il più intraprendente e organizzai il viaggio a Roma».
Verso La Chanson, il locale di Marcello Casco. De Caro racconta:
«Ci arrivammo un lunedì, non c’era nessuno. Massimo si avvicina a Casco, gli dice: “Il cabaret, Roma… ma qua non ci sta nessuno, facite a famme comm e nuje”. Casco ci spiegò che non c’era nessuno perché il lunedì era il giorno di chiusura. Ci fece provare. E da lì partì tutto».
Verso la gloria e oltre.
«Facendo le stesse cose passammo in un attimo dal non poter far fronte all’affitto a essere addirittura pagati».
La fine de La Smorfia: un trauma? Decaro:
«Lo sono tutte le separazioni. La somma delle nostre età di allora è leggermente inferiore alla mia di adesso. Eravamo ragazzi. E tra di noi c’era un top player. Massimo voleva sperimentare altri linguaggi, indagare il rapporto di coppia, l’amore, l’universo femminile. E con tutta la buona volontà né io né Lello Arena potevamo essergli utili in quel contesto…».
Decaro è stato tra i promotori della laurea honoris causa a Troisi.
«Massimo era ed è un pensatore».