La Stampa intervista il suo grande amico, Giovanni Veronesi. «Ha messo il naso nelle sue paure senza il sostegno di un terapeuta».
Ieri è morto Francesco Nuti. Repubblica intervista Giovanni Veronesi, suo grande amico.
«Aveva le spalle più grosse delle mie, per dieci anni ho scritto con lui rischiando poco, protetto dal suo immenso talento. Malgrado fosse protagonista assoluto mi ringraziava. Era generoso, divideva il successo con tutti».
Veronesi lo definisce un guascone impunito.
«Con quel sorriso da guascone impunito piaceva a uomini e donne».
E parla della crisi di Nuti.
«Non c’entra la paura del successo. Era curioso, ha messo il naso nelle sue paure senza il sostegno di un terapeuta. Ha scavato troppo a fondo, ha trovato quel lato oscuro che non va stuzzicato».
L’inizio della fine coincise con il flop di Occhiopinocchio, nel 1994. Da lì Nuti finì nella spirale dell’alcolismo, con la depressione, il tentato suicidio, le conferenze stampa disperate in cui Nuti implorava un impiego. Veronesi:
«Era entrato in quella bolla senza gravità che è l’alcool. Gli sono stato dietro per 3 o 4 anni, cercando di aiutarlo, poi ho capito che stavo buttando via anche la mia vita. Abbiamo litigato e non abbiamo più lavorato insieme».
Al Corriere della Sera, invece, Giuliana De Sio, che di Nuti è stata per un breve periodo compagna, dice:
«Il declino di Francesco è cominciato prima della caduta del 2006, quando qualcosa si è rotto nel suo equilibrio. La
sua è una parabola misteriosa, incomprensibile di uno che aveva tutto e ha deciso di perdere tutto. Nessuno sa
spiegare perché, all’apice del successo, Francesco abbia cominciato a cadere. La sua è stata un’autodistruzione».