Al CorSera: «Tutti a consigliarmi: “Compra il Milan, vedrai quante donne cadranno ai tuoi piedi”. Manco una. Ho avuto 12 squadre, avrei meritato almeno uno scudetto».

Il Corriere della Sera intervista l’ex presidente del Milan, Giussy Farina. Oggi ha 89 anni. Imprenditore, nel 1968
divenne presidente del Lanerossi Vicenza. Nel 1982 acquistò il Milan da Felice Colombo. Quattro anni dopo la società rossonera, a un passo dal fallimento, passò a Silvio Berlusconi.
Quante squadre ha avuto? Farina:
«Fammi pensare… Milan, Padova, Vicenza, Audace, Valdagno, Legnago, Schio, Rovigo, Belluno, Rovereto, Modena, Palù. Volevo comprare anche il Venezia. E il Verona, ma arrivò prima il conte Pietro Arvedi d’Emilei. In 35 anni di calcio almeno uno scudetto me lo sarei meritato, o no?».
Farina ha avuto molte fiamme.
«Non ero un cornificatore seriale. Se capitava… Fino ai 40 anni non ho corteggiato nessuna, semmai venivo corteggiato. Tutti a consigliarmi: “Compra il Milan, vedrai quante donne cadranno ai tuoi piedi”. Manco una».
Possedeva anche molte tenute. Farina le elenca, anche se dice che «per la verità le possedeva la mia prima moglie, la contessa Carla Rizzardi, 88 anni. È in Grecia a fare trekking».
«Mille ettari a Port Elizabeth. Mi manca il Sudafrica. Gente sana, bianchi e neri. Anche 13.000 ettari in Namibia. Qualcosa in Spagna».
Tutto perduto per i debiti del Milan: 13 miliardi di lire. Farina racconta:
«Andai da Silvio Berlusconi ad Arcore. Prendilo tu, gli dissi. “T’invidio quella bella testa di capelli neri”, mi rispose. Fui arrestato per un reato, il falso in bilancio, che oggi non esiste nemmeno più. Il mio avvocato s’era accordato con il pm Ilio Poppa perché mi rilasciasse subito. Invece mi tennero in cella 48 ore. Cominciai lo sciopero della fame. I g’ha ciapà paura. Il lunedì, prima di liberarmi, mi portarono in mensa: g’ho fato ’na magnàda che ancora ce l’ho in mente. “Se non passi tre giorni in galera, in Italia non sei nessuno”, commentò mia sorella. Aveva ragione».
Odia ancora Berlusconi?
«Continuavo a chiedere: ma è morto? Ora che se n’è andato, quasi mi dispiace».
Farina litigò con Gianni Agnelli.
«Mi convocò a Torino: “Voglio Paolo Rossi”. Glielo ridò fra un anno, replicai. “No, adesso”. Andammo alle buste. Io lo valutai 2,4 miliardi di lire, l’Avvocato 900 milioni. Quello stesso anno il Vicenza fu retrocesso in serie B. Capito come funziona il calcio?».
Rossi infine tornò alla Juve.
«Agnelli mi diede anche 1 miliardo in nero. Non rammento come lo spesi, giuro».
Farina era elastico con i soldi.
«Nella mia tenuta di Palù un giorno arriva Antonio Marzorati, consigliere del Milan. Veniva a riscuotere 1 miliardo di lire che mi aveva prestato. Alla fine mi offrì il pranzo e mi strinse la mano: “Dobbiamo comprare una squadra insieme”. Quella somma non gliel’ho mai restituita».
Farina racconta come arrivò al Milan:
«Nel 1982 ero a tavola con amici al Principe di Savoia. Entrò Felice Colombo, presidente rossonero: “Basta, sono
stufo della squadra. Se trovo qualcuno che mi dà 3 miliardi, gliela tiro dietro”. Avevo accanto Carlo Bonfante, ragioniere in pensione di Isola della Scala, il mio contabile di fiducia, più fedele di una moglie. Gli dissi: ragioniere, scriva. “Come da proposta in presenza di testimoni, accetto l’acquisto del Milan per 3 miliardi di lire”. E feci spedire una raccomandata».
Dal Cavaliere ne voleva 20.
«Berlusconi me ne offriva 15. Mi chiamò Giampiero Armani, azionista della squadra rossonera: “La compro io per 20”. L’indomani il petroliere piacentino ricevette una telefonata da Bettino Craxi: “Quell’affare non è per te”. E
così non si presentò dal notaio. Invece arrivò la Finanza. Tutti i beni che avevo dato in garanzia, inclusa la casa di Verona della mia prima moglie, mi vennero portati via».
Chi fu il miglior calciatore? Farina non ha dubbi:
«Franco Baresi. Dava tutto sé stesso. Parlare con lui era parlare con un uomo».
Viene qualcuno a trovarla?
«Il ragionier Bonfante. E Giambattista Pastorello, ex presidente del Verona».
Che cos’è la vecchiaia? Farina:
«Una brutta roba. Ma non pessima. Se prendi la giusta distanza, è sopportabile»
E parla anche del figlio Francesco:
«Dopo avergli dato la presidenza del Vicenza, nel 1981 gli affidai il Modena. Mi telefonò: “Papà, qui ci sono gli stipendi da pagare”. E io: il contratto di acquisto reca la tua firma, pensaci tu. Rimase lì 15 anni e per i primi 10 non mi rivolse più la parola».