Ogni notizia che non piace, è bollata come falsa e destabilizzante. Una platea da dittatura che non vuole essere informata, pretende solo conferme

Una piccola avvertenza: questo articolo sembrerà una difesa del giornalismo e quindi della categoria. Correremo questo rischio. In realtà secondo noi è un’amara fotografia dell’esistente. E la edulcoriamo persino. Perché un concetto va espresso forte e chiaro, anzi due: i giornalisti sono ahinoi di gran lunga migliori dei lettori, (è dura ma è così) e il giornalismo in Italia sarebbe diverso se ci fossero lettori e/o ascoltatori diversi. Che sollecitassero un’informazione accurata. Passiamo allo svolgimento.
Quindi Cristiano Giuntoli non sarà più il direttore sportivo del Napoli. Come raccontato da tanti giornalisti da circa un mese. Quegli stessi giornalisti che, ancor prima che il Napoli si apprestasse a festeggiare la vittoria dello scudetto, cominciarono a scrivere e a parlare di una frattura insanabile tra Spalletti e De Laurentiis (con la macchia dei resoconti post-cena tra De Laurentiis e Spalletti quando venne avallata l’idea di un accordo che non c’è mai stato). Notizie che sui social hanno subito attacchi e insulti di ogni tipo, perché ritenute dannose nei confronti del Calcio Napoli (ma è un comportamento che vale per ogni squadra italiana).
Da tempo il lettore non è più una persona che desidera informarsi, che vuole sapere di più di quel che viene mostrato. No. Al lettore, fondamentalmente quello calcistico ma non solo, interessa soltanto ritrovare le proprie convinzioni in quel che legge o ascolta. Se non riconosce i propri desideri, quella notizia è: una bugia, un tentativo di destabilizzazione, un’operazione messa in atto dietro lauto compenso, parte di un complotto che comincia nei bunker del Nord e passa per trame oscure che lambiscono il Mossad e hanno a che fare con le scie chimiche.
Se volete amaramente rendervi conto del contesto che vi e ci circonda, soffermatevi a leggere i commenti a qualsivoglia testata sui social network. In particolar modo quelle calcistiche, ma non solo. È uno spettacolo terrificante. Agghiacciande, direbbe Antonio Conte. Di fatto è una platea di lettori che sembrano nati per le dittature. Geneticamente predisposti. Anelano la dittatura. Sono perfetti per regimi totalitari. Vogliono leggere solo e soltanto quello che piace a loro. “Siete nemici dell’Eurasia, anzi no dell’Estasia”. “Destabilizzatori”. “Giornalai” (un sempreverde). “Prezzolati”. “Zerbini”. E via dicendo. È un esercito di lemuri e, attenzione, molto spesso in questa moltitudine potreste imbattervi in persone che nella vita ordinaria avete considerato individui colti, intelligenti e preparati.
Il tutto immerso in un contesto in cui ormai al giornalista viene chiesta solo faziosità. Faziosità che deve essere sbandierata. Da decenni in tv i giornalisti di fatto rappresentano una parte, che sia politica o calcistica. La faziosità ti rende riconoscibile (persino apprezzato) e ti incasella nel novecentesco schema con cui Paolo Mieli ha stravolto il giornalismo italiano: chi sta di qua e chi sta di là, con annessi schemini e categorie. Oggi mi capita di notare in alcuni giovani che si affacciano alla professione come loro non prendano proprio in considerazione la non faziosità, non la contemplano: considerano l’essere partigiani una caratteristica imprescindibile dell’essere giornalisti.
In un simile raccapricciante contesto è ovvio che una utopistica sollecitazione da parte del lettore potrebbe contribuire a migliorare la qualità del giornalismo. Invece quel che il lettore reclama è proprio lo junk-food, in questo caso junk-journalism, basta che sia in assonanza con la propria visione. Reclamano il pattume. Ardono per il tal quale.
Oggi il giornalismo si ritrova a combattere (oltre che con la propria profonda mediocrità) su un doppio fronte: quello tradizionale del potere, e dei limiti imposti dagli editori; e quello, recente, di una platea di lettori che cerca solo conferme delle proprie visioni. Giocoforza, laddove non riesce a incrociare quella porzione di osservatori realmente desiderosi di saperne di più, il giornalismo danza sull’orlo dell’abisso e si ritrova a chiedersi se non convenga adeguarsi alla savana infestata. Anche perché gli editori vogliono monetizzare e per monetizzare su Internet devi farti leggere. Vogliono i gattini, vai con i gattini. Vogliono il complotto giudo-pluto-massonico ai danni della Carrarese, vai col complotto giudo-pluto-massonico ai danni della Carrarese. Non crediamo che sia un caso che in Italia fenomeni come quello francese di Mediapart non abbiano preso piede. Non c’è richiesta di informazione in quanto tale. O ce n’è poca. Tranne rarissime eccezioni, pensiamo alla rivista Internazionale, o anche agli abbonati italiani dell’Economist. Speriamo ce ne siano altre. Una fetta sana di lettori esiste e va riconosciuto che questa fetta si sente orfana del giornalismo.
È a nostro avviso l’amara realtà. Periodicamente, alcuni leader politici – che siano stati Berlusconi o gli esponenti del grillismo – vengono additati come responsabili dello sprofondo in cui siamo immersi. La verità a nostro avviso è che per certi versi sono stati solo la risposta a una domanda che – impetuosa – sgorgava dal basso, a una realtà che altri fingono di non vedere. Una realtà mostruosa, non lo neghiamo, da film di Romero, ma che sta lì ed è impossibile non farci i conti.
E quindi sì, venendo alla spicciola realtà di casa nostra, in un clima di perenne sceneggiata, Giuntoli è voluto andare via dal Napoli e De Laurentiis alla fine ha acconsentito (avrebbe potuto opporsi). Così come Spalletti non sopportava il presidente un minuto di più e ha lasciato la squadra con cui ha conquistato lo scudetto. È successo veramente. Ma, state tranquilli, potrebbe essere sempre parte di una cospirazione internazionale di cui Angina24 e Cistifellea61 – molto attivi sui social – hanno colto i primi movimenti osservando quegli strani bagliori in cielo tra le 3.30 e le 3.40 di notte, in particolare il giovedì.