Sta in panchina senza fiatare, sempre a disposizione delle esigenze di squadra. Trattenerlo o meno farà capire il livello futuro del Napoli
Gli amici se ne vanno, la festa è finita.
Termina una stagione eccezionale che, per quanto termini piena di interrogativi (chi sarà il prossimo allenatore? I campioni resteranno o andranno via? Chi verrà a sostituirli se andranno via? Il Napoli uscirà rinforzato o no da tutti questi cambiamenti?), cosa che certo non meritavamo proprio in questa fase di ascesa importante del marchio e della squadra, resterà nel cuore dei tifosi e negli annali partenopei.
La partita di ieri, ovviamente inutile sotto il profilo del risultato, è servita quanto meno per celebrare Fabio Quagliarella, attaccante eccezionale, giocatore dai colpi e dai gol formidabili, che simboleggia come le vite di tutti, non solo sportive, spessa prendano certe pieghe e determinate strade (diverse da quelle volute) per fatti lontanissimi dal volere di ciascuno.
Non so se e come si sarebbe sviluppata la sua carriera senza quei fatti noti a tutti, che così tanto lo hanno fatto soffrire: quello che so è che nonostante ciò, i tempi recenti hanno consegnato a tutti gli appassionati di calcio un vero gentiluomo, un giocatore mai troppo ben considerato rispetto alle altissime qualità tecnico/tattiche espresse, un calciatore che ha tutto il diritto di essere considerato tra i più grandi attaccanti che il dopo guerra ha dato al calcio italiano, uno di quei campioni senza bandiera, e cioè amato da tutti e da tutto a prescindere dalle maglie che ha vestito.
Il primo gol del Napoli nasce su un’azione in verticale lungo la direttrice Anguissa (che porta palla), Zielinski (in posizione da sotto punta e rifinitore) ed Osimhen.
Anguissa riceve la palla a ridosso della linea di metà campo e subito la passa a Zielinski il quale, appunto, si è appositamente spostato in quella zona con l’evidente compito di assumere le vesti di uomo dell’ultimo passaggio (ove ve ne fosse la possibile giocata) o come spesso accaduto quest’anno, nel caso in cui non vi fosse stata questa possibilità, dell’uomo in grado di far ripartire il giro palla nella linea della tre quarti avversaria dettandone i tempi.
Zielinski riceve palla mettendosi, con una rapida torsione del corpo, nella condizione di giocarla subito al centravanti nigeriano che con uno dei movimenti visti tante volte quest’anno già sta scattando ad aggredire la zona del campo dietro ai due centrali di difesa della Sampdoria.
Per non perdere il tempo di giocata e non far finire in fuori gioco Osimhen, Zielinski gli recapita il pallone colpendolo, non appena si gira su se stesso, con la punta dell’esterno del piede destro, dandogli un tocco che sembra essere la diretta prosecuzione dello stop a seguire che ha effettuato con lo stesso piede, senza praticamente riappoggiarlo a terra dopo l’arresto a seguire del pallone.
E bene fa, perché proprio grazie a questa eccellente giocata Osimhen mantiene la posizione di vantaggio sui due centrali a cui ha in precedenza rubato il tempo, i quali, a quel punto, per evitare che l’attaccante azzurro arrivi a calciare a tu per tu con il portiere sono costretti a chiudergli la strada franandogli addosso ed atterrandolo.
Rigore procurato ed assegnato, rigore ben calciato aprendo il piatto sul palo alla destra del calciante, gol.
La rete del due a zero è meravigliosa, secondo me uno delle più belle viste al San Paolo quest’anno.
Il gol lo fa, lo ammetto, uno dei miei preferiti, uno uomo simbolo di questa stagione e delle scelte future del Napoli.
Di questa stagione perché gli scudetti si vincono quando hai una squadra in cui giocatori di questo livello tecnico/tattico stanno in panchina (a testimonianza dell’eccellente livello di quelli che giocano al posto loro) senza fiatare, attendendo il loro turno, sempre a disposizione delle esigenze di squadra, compagni ed allenatore e sempre pronti a risolverle con i loro gol nei pochi minuti in cui sono impiegati.
Delle scelte future perché è da questi piccoli particolari che si giudica una società: se riesci a non venderlo perché il giocatore decide di rimanere anche senza un ruolo da protagonista assoluto, allora sei ufficialmente diventata attrattiva, e cioè una società in cui giocatori di livello, ben pagati ovviamente, decidono di rimanere perché è meglio un ruolo da comprimario in una realtà così competitiva (vuol dire che lo sei diventata) piuttosto che un ruolo da protagonista in una realtà di comprimari.
Il gol, come dicevo, è bellissimo: per capacità di controllo del pallone, di coordinamento nella fase dello stop e della conduzione, per abilità nel calciarlo proprio in quel modo sul palo appositamente scelto, in barba a chi diceva che Simeone queste capacità tecniche non le ha (sono gli stessi che dicevano che Elmas non sapeva fare niente bene? Sono come i berlusconiani, questi: ultimamente non se ne trova più uno).
Il Cholito sulla linea della trequarti riceve un passaggio, con palla alta e forte che gli arriva sulla figura, a tagliare il campo da parte di Raspadori.
Nell’atto di riceverlo, il centravanti argentino e quasi girato di tre quarti rispetto alla linea del pallone (perché sta guardando il compagno per capirne le intenzioni) ed infatti per stopparlo in modo da averlo tra i piedi per continuarne la conduzione agevolmente è costretto ad una piccola rotazione del corpo e a dare allo stesso pallone un colpo con il piatto del piede destro tale da farlo, appunto, rimanere tra i due piedi una volta che scende a terra.
Lo stop riesce benissimo e Simeone, a quel punto, senza avversari che lo contrastano, punta la linea dei 25 metri e con tre tocchi si prepara ad esplodere il tiro: che fa partire calciando il pallone con l’interno collo del piede destro, mirando il palo più vicino e dando al pallone una botta tale che la palla, lungo la traiettoria, nemmeno gira su se stessa ma entra dritta per dritta in porta all’incrocio dei pali che Simeone ha mirato.
Un gol all’incrocio con il pallone che spacca la rete, altro che tiro a giro: una meraviglia, insomma.
Come una meraviglia è l’esultanza del Cholito, che con la maglietta di Diego Armando Maradona ed il suo numero 10 in bella mostra corre ad esultare sotto al tribuna, a dimostrazione che del fatto che ancora oggi, in un mondo di miscredenti, esistono giocatori che rifuggono ogni forma di eresia.
Un carissimo saluto a tutti ed un arrivederci alla prossima stagione.
Che la Madonna ci accompagni.