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L’addio al calcio di Hamsik l’uomo simbolo del Napoli di De Laurentiis

Arrivò dal Brescia nel 2007. È stato tra i primi prototipi del tuttocampista moderno. Un filo rosso lega Marek Hamsik e il Napoli

L’addio al calcio di Hamsik l’uomo simbolo del Napoli di De Laurentiis
Hamsik (Carlo Hermann / Kontrolab)

Secondo una celebre leggenda di origini cinesi, ognuno di noi porta sin dalla nascita al mignolo della mano sinistra un filo rosso invisibile, che ci lega indissolubilmente alla nostra anima gemella. Due persone unite dall’Akai ito – così si chiama – hanno i destini incrociati: non c’è tempo o distanza che tenga di fronte a un legame tanto forte, inscalfibile.

Chissà se c’è un filo rosso a legare Marek Hamsik ed il Napoli. Forse sì, forse no. Ma è senz’altro curioso che il calciatore più rappresentativo dell’era De Laurentiis appenda le scarpette al chiodo proprio mentre il Napoli di De Laurentiis realizza il suo destino, quel sogno che nel settembre del 2007 aveva le sembianze del miraggio. A quel tempo, il centrocampista slovacco, contestato al suo arrivo, segnava alla Sampdoria il suo primo gol nella nostra Serie A con un’indimenticabile serpentina nell’area di rigore dell’allora Stadio San Paolo. Il Napoli veniva dall’inferno del fallimento, dalla Serie C e dalla Serie B, e non era affatto scontato che iniziasse un percorso vincente e virtuoso; lui, Hamsik, veniva dal Brescia, scovato proprio da quel Maurizio Micheli che pure pare sul punto di chiudere un cerchio, visto che è tra i candidati a subentrare a Giuntoli nella direzione dell’area sportiva dei partenopei.

Se ne diceva un gran bene, di Hamsik, già allora. Ma pochi avrebbero immaginato di avere di fronte quello che sarebbe diventato il centrocampista con più gol all’attivo in Serie A dal dopoguerra ad oggi. Basta dare uno sguardo approfondito alle classifiche per rendersene conto: coi suoi 100 gol (tutti con la maglia azzurra) in campionato, Hamsik ha gonfiato la rete più volte di mostri sacri come Kakà, Seedorf, Nedved, Stankovic. E basta forse questo a spiegarne la grandezza, troppo spesso sottovalutata. Lo slovacco è stato un centrocampista che nel suo prime (come s’usa dire oggi) ha goduto di un importantissimo mercato, in Italia e in Europa (dal Milan alla Juventus passando per il Borussia Dortmund), ma che ha forse pagato, almeno in termini di considerazione pubblica, la scelta di diventare un simbolo del Napoli. Proprio Nedved, a ragione o a torto, dichiarò qualche tempo fa che Hamsik aveva rifiutato la Juve, ma che con la Juve avrebbe potuto ambire al Pallone d’Oro. Forse Pavel esagerò. Anzi, esagerò sicuramente. Eppure è vero che Hamsik è stato tra i primi prototipi del tuttocampista moderno, un modello che ha poi imperato in Europa negli anni successivi.

Hamsik, dicevamo, è stato il vero simbolo del Napoli di De Laurentiis. Più di ogni altro calciatore. È cresciuto insieme alla società. È diventato grande insieme al Napoli. Ha attraversato l’epoca di Reja e Lavezzi e quella di Cavani e Mazzarri, l’internazionalizzazione rafaelita e il calcio estetico di Maurizio Sarri, con cui ha sfiorato lo scudetto. È passato anche per Ancelotti, quando forse era troppo stanco. Il tecnico di Reggiolo provò a donargli una seconda giovinezza in un ruolo che, con le sue geometrie, avrebbe potuto interpretare alla grande, ovvero il regista. Ma Marek era scarico, probabilmente segnato dalle tante (troppe) occasioni mancate. In fin dei conti, Hamsik a Napoli ha vinto relativamente poco – due volte la Coppa Italia e una volta la Supercoppa – ma ha decisamente segnato un’epoca, almeno da queste parti, percorrendo i cambiamenti del calcio e del suo club con uno stile inconfondibile. Stile, sì. Perché se i bambini di oggi si mettono la maschera di Osimhen, quelli di allora ordinavano la cresta al barbiere e indossavano le maglie numero 17. Come succede alle icone.

È un’epoca finita, ovviamente. Eppure a ripercorrere il filo rosso di Hamsik dalla serpentina contro la Sampdoria all’addio contro la Sampdoria – sì, Hamsik giocò la sua ultima partita proprio contro i blucerchiati, illuminandola con un lancio a tagliare il campo per Callejon che squarciò simbolicamente il velo sul suo addio – si trova tanto, tantissimo della crescita del Napoli. Dall’indimenticabile doppietta in rimonta che sugellò la storica vittoria dell’Olimpico di Torino contro la Juventus al proverbiale coast-to-coast con cui stese il Milan Campione d’Europa in carica. E poi la rete in finale di Coppa Italia, a Roma, nel 2012, a marchiare a fuoco il primo trofeo del nuovo corso. E, ancora, le reti europee, dalla doppietta al Wolfsburg che valse la semifinale di Europa League a quelle, storiche, in Champions. L’ultimo acuto in maglia azzurra, guarda caso, proprio in Coppa dei Campioni: Hamsik segnò alla Stella Rossa pochi giorni dopo aver superato Bruscolotti, piazzandosi al primo posto tra i calciatori con più presenze con la maglia del Napoli. Un primato che tuttora resiste.

Domenica, a poche ore dall’addio al calcio giocato di Hamsik, a Napoli arriva ancora una volta la Sampdoria. Proprio la squadra di Genova, a cui Hamsik segnò il primo gol, e che fu ospite al San Paolo nel giorno del suo addio al Napoli, assisterà alla premiazione dei partenopei, che alzeranno al cielo il primo Scudetto dell’era De Laurentiis. Sarà la potenza del filo rosso, sarà uno scherzo del destino, o sarà semplicemente un caso. Ma quella di Marek Hamsik e del Napoli, due destini che proprio non hanno potuto fare a meno di incrociarsi, è certamente una storia che vale la pena raccontare. Dalla Sampdoria alla Sampdoria… alla Sampdoria!
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