Sarebbe senza dubbio un piano B ma è un tecnico funzionale che ha sempre ottenuto risultati e valorizza i calciatori. Certo Napoli è un ambiente diverso
Oltre il campo
Nel calcio, esattamente come in tutti i comparti di business con una certa visibilità, ogni decisione strategica si può leggere e valutare da diverse prospettive. Ecco perché, se guardiamo al Napoli, la ricerca del nuovo allenatore deve essere raccontata per quello che è, vale a dire la ricerca di un professionista adatto a prendere il posto di Spalletti e ad allenare i giocatori che hanno appena vinto lo scudetto, ma anche per quello che rappresenta, cioè per i messaggi che vengono trasmessi all’esterno dell’universo-Napoli. De Laurentiis deve fare una scelta tecnica ma anche politica, nel senso che deve assumere un nuovo dipendente ma allo stesso tempo deve restituire l’esatta dimensione del suo club. Del suo brand. A maggior ragione dopo aver vinto il campionato.
Per dirla brutalmente: oggi come oggi, prendere Nagelsmann, Conte o Luis Enrique non sarebbe la stessa cosa che prendere Italiano, Thiago Motta, Palladino. Basta scavare nella storia recente del Napoli per capire cosa intendiamo: a posteriori nessuno se ne ricorda, ma l’umore intorno al club ha raggiunto uno dei suoi punti più bassi all’arrivo di Sarri, mentre era discretamente più alto al momento dell’annuncio di Benítez o Ancelotti. Non c’è niente di male, è perfettamente umano, dopotutto uno veniva dall’Empoli e gli altri due avevano vinto la Champions League. Poi le valutazioni sono cambiate, ed è proprio questo il senso ultimo dell’articolo che state leggendo. Un articolo in cui parleremo di Vincenzo Italiano, ma prima di tutto era necessario fare questa premessa. Che va oltre il campo.
E quindi ribadiamolo ancora: se la ridda di voci intorno al Napoli ha portato a galla i nomi di Luis Enrique, Conte e Nagelsmann, l’eventuale arrivo di Vincenzo Italiano verrà inevitabilmente vissuto, percepito, raccontato come un ripiego. Come un Piano B. E, nel caso, si tratterà di un piccolo autogol comunicativo di De Laurentiis: in fondo è stato il presidente a dire di avere «20 candidature da tutta Europa». La realtà è diversa: Vincenzo Italiano potrebbe essere una soluzione valida, un Piano B solo politico. Sul campo la storia e le promesse dell’attuale allenatore della Fiorentina sono molto promettenti.
Il campo
Nel calcio tutto parte dai risultati. O meglio: tutto dipende dai risultati, tutto si legge attraverso quella lente. Per quanto un sistema/modello di gioco possa essere esteticamente appagante, solo il saldo gol fatti/gol subiti lo rende davvero efficace, solo la classifica lo rende vincente. E da questo punto di vista, Vincenzo Italiano ha un curriculum praticamente perfetto. In progressione dal 2016 a oggi: vittoria dei playoff di Serie D con l’Arzignano; promozione dalla Serie C alla Serie B con il Trapani; promozione dalla Serie B alla Serie A con lo Spezia; salvezza con lo Spezia in Serie A. E ancora: qualificazione in Conference League con la Fiorentina, che non giocava in Europa dal 2016, più le due finali raggiunte quest’anno.
Tutto questo per dire che Vincenzo Italiano, per quanto venga dipinto e quindi percepito come un tecnico ideologico, giochista, in realtà predica e pratica un calcio che funziona. Un calcio che di solito produce punti in classifica. Che può piacere o non piacere, ma i gusti e le opinioni valgono sempre meno dei dati oggettivi. Dei numeri.
Ma in cosa consiste il calcio di Vincenzo Italiano? In che modo si determinano i miglioramenti che ha portato alle sue squadre? E soprattutto: è davvero adatto a ereditare la rosa di Spalletti? Cominciamo col dire, anche per tranquillizzare l’ambiente Napoli in merito a uno dei suoi feticci storici, che il sistema di gioco più utilizzato dall’attuale allenatore della Fiorentina è il 4-3-3. L’abbiamo visto ai tempi dello Spezia, e poi anche nella prima parte della sua avventura a Firenze. Solo nella prima, esatto: i grandi risultati colti quest’anno – la Fiorentina non solo ha raggiunto la finale di Coppa Italia e quella di Conference League, ma è anche la squadra che ha fatto più punti in Serie A, 28, nelle ultime 14 partite – sono arrivati dopo che Italiano ha rovesciato il triangolo di centrocampo, derogando dal 4-3-3 puro.
Adattarsi al contesto
Questa trasformazione tattica si è concretizzata dopo un avvio di stagione piuttosto negativo, soprattutto in campionato, ed è stata una scelta di assestamento. O meglio: di adattamento. La Fiorentina, infatti, aveva perso Lucas Torreira – il pivote davanti alla difesa nello scorso campionato – senza sostituirlo davvero, perché l’operazione di mercato fatta per coprire quello slot, l’acquisto di Mandragora dal Torino, si è rivelata inesatta. Italiano ha provato ad adattare Amrabat in un ruolo così delicato, ma anche quell’esperimento non è andato a buon fine. E così ha deciso di cambiare: doble pivote con Mandragora e Amrabat con un giocatore più libero di muoversi, di solito Bonaventura, a supporto della prima punta. Poi, con le alternative Duncan, Castrovilli e Barak, Italiano ha creato diverse versioni, anche spiccatamente più offensive, del suo nuovo sistema di gioco.
E allora si può dire senza timori di smentita: in questa stagione, Vincenzo Italiano ha manifestato una flessibilità che sembrava non appartenergli. È un altro segnale significativo, nel senso che è un’altra skill importante per un allenatore: dopo aver cercato di forzare il contesto pur di non modificare il suo approccio, alla fine ha deciso di piegarsi. Di rimodellare un po’ la sua Fiorentina. Certo, va detto che in realtà non ha mai rinunciato ai principi di gioco che gli hanno permesso di arrivare dov’è arrivato: difesa alta con orientamento sul pallone, utilizzo del possesso come arma difensiva e poi per disarticolare il sistema difensivo avversario, sovrapposizioni continue degli esterni bassi.
Proprio perché il suo sistema è così consolidato, però, anche un cambiamento – apparentemente – piccolo come il passaggio dal 4-3-3 al 4-2-3-1 ha un peso. Significa qualcosa, ecco. In una squadra come il Napoli, composta da giocatori di possesso ma anche da scattisti che amano galoppare in campo aperto, saper mixare e – perché no? – cambiare idea è una una dote fondamentale. In fondo, proprio la capacità di creare un sistema ibrido e fluido pur di valorizzare l’abbondante talento della rosa a sua disposizione ha portato Luciano Spalletti a vincere il campionato. Anzi: a dominarlo.
Valorizzare il talento
C’è un’altra cosa molto interessante da scoprire e da raccontare, nella carriera di Vincenzo Italiano: la sua evidente capacità di gestire bene, cioè di farli rendere e di farli migliorare, i giocatori di talento. Soprattutto gli attaccanti. Se volete, ci sono i numeri a testimoniarlo: secondo gli algoritmi di Transfermarkt, il valore di mercato di tutti i giocatori dello Spezia è cresciuto di oltre il 30% lungo tutta la stagione 2020/21, la prima in Serie A per il club ligure.
Poi c’è chi non crede a certe rilevazioni, e allora ecco anche un po’ di nomi e di immagini: con Italiano in panchina, M’Bala Nzola si è imposto come un grande attaccante di Serie B, prima Trapani e poi a La Spezia, e poi come una delle punte più affidabili della Serie A piccolo-borghese; sempre guardando agli anni allo Spezia, impossibile non citare i casi di Pobega e Gyasi, due calciatori praticamente sconosciuti diventati molto affidabili nel massimo campionato.
A Firenze, l’aumento del talento medio in rosa non ha cambiato queste abitudini. Anzi, tutt’altro: Nico González si è imposto fin da subito come un esterno di grande impatto su qualsiasi partita, contro qualsiasi avversario; Giacomo Bonaventura è tornato a essere un calciatore decisivo, brillante, una fonte continua di giocate ad alta qualità; Torreira, l’abbiamo già accennato tra le righe, ha vissuto la stagione più continua della sua carriera. E infine, ma non per importanza, c’è Dusan Vlahovic. Forse perché siamo un po’ traviati dagli highlights – scarni, grigi, spenti – della sua avventura alla Juve, ma è bene ricordare cos’era in grado di fare l’attaccante serbo con la maglia viola indosso e Vincenzo Italiano a guidarlo dalla panchina. Ci mettiamo solo un paio di numeri – 20 gol in 2038 minuti fino a gennaio, quindi esattamente un gol ogni 100′ – e il video che vedete sotto. Dovrebbe bastare.
Che fine ha fatto questo centravanti devastante?
Potrebbe esistere un Napoli di Italiano?
Fin qui, tutti i pezzi del puzzle – di un eventuale puzzle per cui Italiano siederebbe sulla panchina del Napoli – sembrano incastrarsi bene. È un discorso valido a livello di principi tattici come di sfruttamento del capitale tecnico: l’attuale allenatore della Fiorentina potrebbe continuare a praticare un calcio sofisticato, orientato al possesso, anzi a Napoli avrebbe gli strumenti per renderlo ancora più multiforme e dominante; questi strumenti sarebbero ovviamente dei calciatori che si sposerebbero benissimo con questa filosofia, basti pensare a Lobotka, a Elmas, a Kvaratskhelia, a Di Lorenzo, ovviamente a Osimhen – il centravanti bravo in verticale che quest’anno è mancato alla Fiorentina.
Al di là di questo mondo ideale, un mondo in cui tutto è perfetto, è chiaro che un’avventura a Napoli sarebbe affascinante ma anche difficile, per Italiano. Lo scudetto sulle maglie, la Champions mai assaggiata e una riconoscibilità inferiore a quella dei suoi calciatori potrebbero rappresentare un ostacolo complicato da saltare. Non tanto e non solo a livello emotivo o di rapporti, ma proprio perché è sempre difficile arrivare in un ambiente così competitivo, in tutti i sensi, e imporre le tue idee. A maggior ragione se si tratta di contesti che non hai ancora frequentato.
Da qui torniamo al discorso iniziale, quello sulla prospettiva extra-campo di questa scelta. Italiano, per dirla in soldoni, potrebbe essere l’allenatore perfetto per il Napoli se il calcio fosse una materia esclusivamente teorica e al massimo tecnico-tattica, un multiverso in cui il carisma, l’abilità politica, l’esperienza e l’intuitività che ne derivano hanno poco peso. E invece sono tutte cose che impattano molto, che possono cambiare le partite, le stagioni. Che possono determinare una vittoria o una sconfitta. In virtù di tutto questo, esiste e resiste qualche perplessità. Che, però, non deve compromettere il giudizio sul suo eventuale arrivo. E soprattutto non dovrebbe determinarlo a priori. Alla fine, come sempre dovrebbe essere e quindi sarà il campo a dire come stanno davvero le cose. Finora, in questo senso, la carriera di Italiano ha detto che è un ottimo allenatore. Poteva andare molto peggio, se proprio vogliamo considerarlo un Piano B.