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Spalletti, la tua impresa non è stata lo scudetto ma averci insegnato la cultura del lavoro

Tu arrivasti da noi e noi ti guardammo come si guarda un quadro che ci attrae ma non ne cogliamo ancora il significato

Spalletti, la tua impresa non è stata lo scudetto ma averci insegnato la cultura del lavoro
Db Udine 04/05/2023 - campionato di calcio serie A / Udinese-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Caro Luciano,
era il settembre del 2021 ed io pensando a te sulla panchina del Napoli subito volsi lo sguardo alla letteratura che mi riportò a Giovanni Boccaccio.

Poi ci sono arrivati anche gli altri al filo che vi lega, da Certaldo a Napoli, da Fiammetta allo scudetto. Persino all’estero, questa però è un’altra storia che non vale la pena di approfondire.

Metà in fiorentino, metà in napoletano, l’Epistola di Boccaccio segnò il principio del suo genio letterario, la prima opera che unì due mondi agli antipodi ma che segnò Napoli come terra promessa, come centro di gravità artistica. E tu arrivasti da noi e noi ti guardammo come si guarda un quadro che ci attrae ma non ne cogliamo ancora il significato; non riusciamo a portare lo sguardo oltre il soggetto, non ci soffermiamo sulle sfumature piuttosto analizziamo la cornice.

Tu questo lo hai colto dal primo giorno, il Napoli non è una squadra di calcio è uno stato d’animo, è un mondo che si muove accanto, dentro, sopra, sotto. E’ un carrozzone disordinato di narcisisti con il microfono, di autocelebrativi con il pass da opinionisti. Napoli è una cleptomane di attenzioni che si autoflagella pure a duecento metri dalla metà. Quanto ne hai dovute subire, è vero Lucia’? Quanta retorica, quanta malafede, quanta approssimazione in quei giudizi di inizio anno. Quante risatine dai salotti buoni che professavano il culto del toscano di mare, del veneto dei miracoli, mentre a te smantellavano la squadra e ti affidavano un georgiano ed un coreano mentre in altri scali, atterravano i campioni e i vice-campioni del mondo. E tu? In silenzio ma con noi, come un padre di famiglia che sa dove condurrà i propri figli se lo ascoltano. Con le pettorine stampate, con la necessità di buttare tutto l’amore in quella folgorazione di due anni prima.

La tua Fiammetta ti correva ora con le braccia spalancate per lanciarle al collo, per abbracciarti. Tu, tramutavi i rumori dei sottoscala del pensiero, in jazz da suonare in Europa e in Italia. Hai suonato una stagione intera, senza fermarti. Un tour pazzesco di ansie sbriciolate dinanzi allo specchio in cui si rifletteva la tua creatura: il lavoro, la squadra, il silenzio. Il suono del silenzio, nel Maradona in contestazione mentre i tuoi ragazzi si prendevano con forza, con cazzotti, con merito, il letto per il sogno più bello.

Caro Luciano, la tua più grande impresa non è stata lo Scudetto, sei stato epico in questa città per averci insegnato la cultura del lavoro, la capacità di riuscire a stare fermi, davanti ad un’opera d’arte, e aspettare di comprenderla scrutandone ogni sfumatura, ogni dettaglio, ogni tocco di colore, ogni pennellata nascosta. Per questo sarai per sempre sui muri, per questo sarò sempre grato a chi, nella consueta narrazione tossica di Napoli e del Napoli, è riuscito ad infilarci un racconto che ci ha consacrati senza affidarsi alla solita retorica o ai ripetuti cliché.
Metà in fiorentino, metà in napoletano, la tua Epistola ha riportato Certaldo e Napoli a toccarsi con l’onda evocativa propria degli uomini capaci di compiere capolavori.

Ciao Lucia’
Grazie

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