A La Repubblica Firenze: «Ho capito subito cosa fosse la bella vita. Ero una macchina per fare soldi, ma anche per spenderli»

Bella l’intervista pubblicata da Repubblica Firenze ad Andrea De Gortes, il mitico fantino Aceto. Oggi ha 80 anni, ripercorre la sua carriera, gli incontri di una vita, le vittorie e le sconfitte al Palio di Siena, stradominato per trent’anni: è il fantino più vincente del ‘900 in Piazza del Campo.
Aceto è nato ad Olbia, in Sardegna. Come primo lavoro ha fatto il pastore.
«Fino a 14 anni facevo il pastorello. Vengo da una famiglia numerosa, 5 fratelli e 2 sorelle».
A 14 anni si trasferì a Roma, dove abitava sua zia.
«Iniziai come pizzicagnolo e poi uno storico allenatore di fantini, Vincenzo Celli, mi portò a Capannelle all’Ippodromo».
Aceto racconta com’era vivere a Roma.
«Frequentavo zone particolari, Primavalle e Testaccio. C’era molta delinquenza e io la frequentavo. Venire via da Roma mi ha salvato, altrimenti sarei stato un capobanda oppure sarei finito in galera. Il carattere ce l’avevo».
Fu proprio a Roma che fu soprannominato Aceto.
«A Roma non parlavo perfettamente l’italiano. C’era un ragazzo che mi prendeva in giro tutte le volte che aprivo bocca. Una mattina avevo una forca in mano, lui continuava a sbeffeggiarmi e gliela infilai nella gamba. Le persone all’ippodromo iniziarono a dire: “Guarda questo ragazzo come prende d’aceto”. Quando mi trasferii a Siena, con un soprannome così, se non avessi mai vinto il Palio sarei stato un coglione».
Il primo Palio, nel 1964, non andò benissimo, quelli della contrada del Bruco lo volevano picchiare.
«Non fu un grande inizio. Mi volevano picchiare alla fine del Palio. Mi buttai da una finestra per scappare. Però iniziai a capire che si potevano guadagnare tanti soldi: era la metà degli anni ‘60 e io ero promesso alla contrada dell’Oca. A pochi giorni dalla corsa ancora non mi avevano fatto sapere niente e allora decisi di accettare la proposta del Bruco che mi tampinava da dicembre. Quando l’Oca lo venne a sapere, mi offrì 500mila lire per montare. Con quelli del Bruco mi inventai che mi avevano offerto 1 milione. Pareggiarono l’offerta e così montai con loro. Pensi che un impiegato prendeva 30mila lire al mese. L’anno dopo però vinsi subito nell’Aquila».
Aceto racconta i tanti personaggi famosi conosciuti negli anni, da Mel Gibson («mi venne a trovare, mi piacevano molto i suoi film. Volle fare un giro a cavallo, ma appena si dimenò un poco chiese subito di scendere. Si era spaventato» a Gaucci passando per Papa Giovanni Paolo II e Pavarotti, ma anche Maradona, Buffon, Gigi Riva, Zola, Antonio Conte e Maldini. Racconta i tanti soldi guadagnati.
«Ho capito subito cosa fosse la bella vita e negli anni ’70 avevo tutte le macchine più veloci che c’erano. Io ero una macchina per fare soldi, ma anche per spenderli. Mi sono tolto tante soddisfazioni e di voglie non ne ho. Nel 1985 la Guardia di Finanza mi fece un accertamento. Risultato? Una multa da 1 miliardo e 360 milioni, poi condonati a 500 milioni. Mi hanno fatto male».
E’ vero che i fantini sono mercenari, avidi di denaro? Aceto:
«Sono fantasie dei senesi. Brave persone, ma si inventano alcune cose. I soldi nel Palio sono quelli che contano meno di tutto. Io ho sempre pensato a vincere. Se una contrada mi pagava per quello, perché avrei dovuto perdere? Ci avrei rimesso. Per quanto riguarda il discorso dei mercenari, io dopo vent’anni in cui sono stato il fantino dell’Oca nel 1990 sono passato alla Torre, ma perché già non avevo più rapporti con la contrada di Fontebranda. Pensi che quella fu la prima notizia data da Canale 5 alla sera».
Cosa fa Aceto oggi?
«Inizio ad accusare qualche dolorino dato dall’età. Esco meno, parlo meno con la gente, mi faccio vedere meno. Esco con il cane, ma non ho più tanta voglia di andare in giro».
Ci sarà mai un altro Aceto in Piazza del Campo?
«Trecciolino mi diceva che lui avrebbe potuto vincere trenta palii ma non sarebbe mai stato come me. Uno così, a livello di fantino, nasce ogni duemila anni. Io davo la mano al popolo, i fantini di oggi prendono un sacco di soldi e poi se ne vanno. Io avevo il carattere adatto proprio per fare il fantino di Siena».