Al CorSera: «L’italiano più bello con cui ho lavorato? Mastroianni. Dopo la fine della sua storia con la Deneuve ascoltava ogni mattina Bella senz’anima».

Il Corriere della Sera intervista Barbara Bouchet, la star del cinema sexy degli anni ’70 e ’80. Sta per compiere 79 anni. Parla della sua carriera, degli incontri e dei suoi amori.
Quando ha capito di essere bella? Bouchet:
«Mio padre era fotografo. A San Francisco riprendeva comunioni e matrimoni e, per altri lavoretti, mi usava come modella. Poi, a 14 anni ho vinto il concorso in costume da bagno Miss China Beach, mi ci portò una signora che mi aveva fermato fuori dalla sua palestra e che da lì mi fece girare per concorsi, li vincevo tutti: Miss Fotogenia, Miss Sorriso… E così, da qualche parte, mi spuntò nella testa l’idea che ero bella. A 15 anni, andai a trovare un’amica a Los Angeles e a casa non tornai più: l’aria non era delle migliori, eravamo cinque figli, di soldi ce n’erano pochi e i miei genitori non si sopportavano più, litigavano sempre. Io mi iscrissi alla Hollywood Professional School per aspiranti attrici e intanto vendevo pollo fritto, scarpe, qualsiasi cosa. Così, cominciarono i piccoli ruoli, il primo in Fammi posto tesoro, con Doris Day e James Scarner».
Racconta la sua famiglia:
«Sono nata che mio padre era al fronte, con mamma e i nonni fummo cacciati dai russi e andammo dalla zia in Germania, perché mamma era tedesca. Poi, papà trovò un lavoro a Monaco di Baviera, avemmo finalmente una casa decente. Prima, noi cinque figli, dormivamo tutti insieme. Ma mamma aveva la fissa dell’America».
In America la Bouchet arrivò quando aveva 12 anni.
«Arriviamo in estate nella vallata più calda della California, io avevo 12 anni. Raccogliamo cotone per due anni per ripagare il viaggio. Dopo, a San Francisco, mio padre faticava a sfamare la famiglia e quasi odiava mia madre per averlo costretto a emigrare. Quando fotografava i matrimoni, nascondeva il cibo nel cappotto e ce lo portava».
La vera esplosione ci fu in Italia. Nel solo 1972 la Bouchet girò undici film. Non la imbarazzavano le scene sexy?
«Sono cresciuta in una famiglia in cui noi figli stavamo tutti nudi nella stessa stanza, non ho quel senso del pudore. E poi erano ruoli, era come dire: non ti dà fastidio fare l’assassina? I film per me volgari o morbosi, però, li rifiutavo: rifiutai La chiave di Tinto Brass, che fece Stefania Sandrelli e Histoire d’O che fece Corinne Clery».
I giornali di fine anni ‘60 la davano fidanzata con Omar Sharif. Bouchet:
«Vado a vivere da lui a Parigi e dice: mi raccomando, devi curare la casa, non voglio quadri, oggetti, niente in giro. E io: e che è? Un ospedale? Ho retto poco perché lui stava sempre a giocare al casino e io a casa. In Italia, iniziava la mia carriera, al che ho lasciato un biglietto e me ne sono andata».
Ha lasciato altri uomini in modo così netto?
«Steve McQueen. Ho vissuto con lui a Malibu, tutte le mattine arrivavano amici in moto per fare colazione a casa nostra e io in cucina a fare uova, bacon, patate. Mi dissi: non è la mia vita».
Altri sedotti e abbandonati?
«Vabbè… Il Tarzan della serie tv, Ron Ely. Lo incontro sul set in Messico, alto quasi due metri, seminudo, un fisico bello come il sole. Finché stati ad Acapulco, mi piaceva, poi l’ho visto vestito a Los Angeles ed è passato l’incanto».
L’italiano più bello con cui ha lavorato? Bouchet:
«Marcello Mastroianni. Era appena finita la storia con Catherine Deneuve, era triste. La mattina, veniva sul set di Per le antiche scale di Mauro Bolognini, accendeva il giradischi e sentiva Bella senz’anima. Tutte le mattine».
Il più simpatico?
«Ugo Tognazzi. Sul set di Anatra all’arancia con Monica Vitti, mi usava per farle gli scherzi, mi chiedeva di cambiare le battute per coglierla di sorpresa».
Perché a un certo punto la Bouchet lascia il cinema?
«Mi ero sposata, io e mio marito Gigi Borghese siamo stati insieme 36 anni, mi aveva conquistata con la simpatia. Nel ’76 era nato Alessandro e io, prima dei 40 anni, ho smesso perché non volevo che fossero gli altri a mandarmi via. Ho pensato: torno fra dieci anni. Facevo la mamma e ho importato in Italia l’aerobica alla Jane Fonda, con corsi, Vhs. Poi, per il rientro al cinema, di anni ne sono serviti venti. Però il rientro l’ho fatto con Martin Scorsese in Gangs of New York. Lui fece anche un Natale a casa mia con la moglie e la mia famiglia».
Dopo il divorzio, si è più innamorata?
«Credevo che avrei avuto la fila alla porta, ma non c’era nessuno. I corteggiatori mi considerano un trofeo e a me non piace fare il trofeo. Non capiscono che dietro Bouchet c’è Barbara».
Una decina d’anni fa, Quentin Tarantino volle incontrarla al Festival di Venezia.
«Lo chiese al direttore, vado, mi vede e strilla: yeah. Passiamo due giorni insieme, poi mi dà un appuntamento e non si presenta. Penso: chi si crede di essere? Tempo dopo, mi chiama il regista Francesco Vezzoli, dice che deve girare un corto su Caligola e che Quentin farà Caligola solo se io faccio la moglie. Vado a Los Angeles, provo trucco, costumi e, il giorno prima del ciak, Quentin lo chiama e dice che non viene perché è troppo ingrassato. Insomma, un maleducato. Ma fa niente: grazie a lui, pure a una certa età, ho guadagnato un sacco di fan in tutto il mondo».