ilNapolista

Bennato: «Ero protetto dall’intellighenzia di sinistra, poi si resero conto che non ero controllabile» 

Al CorSera: «Nel 2003 Bertinotti disse che tutti avrebbero dovuto ascoltarmi, ma l’unica cosa che è cambiata è che ora ci sentiamo per parlare di geopolitica».

Bennato: «Ero protetto dall’intellighenzia di sinistra, poi si resero conto che non ero controllabile» 

Il Corriere della Sera intervista Edoardo Bennato. 77 anni, è nel pieno di un tour. Racconta di quando nel 1969 Lucio Battisti gli dava uno strappo sulla sua Duetto e gli diceva «ahò, non te preoccupa’ verrà il momento tuo». E di quanto Fabrizio De André apprezzasse lui e i musicisti cresciuti a Bagnoli.

«Fabrizio schifava tutto il mondo della musica, tranne noi. Stava sempre con una sigaretta accesa in una mano e un whisky nell’altra. Posava il whisky solo per accendere una nuova sigaretta dall’altra sigaretta».

Bennato ricorda quando uscì il suo primo album, dopo nove anni di gavetta.

«Dopo nove anni di gavetta, uscì il mio primo album, Non farti cadere le braccia, e il direttore della Ricordi mi disse: Un giorno credi è bella, Una settimana e un giorno pure, però, a Radio Rai dicono che hai la voce sgradevole e non le trasmettono, quindi, per noi, finisce qui. Ti consiglio di cambiare mestiere».

Si era appena laureato in Architettura, ma continuava a suonare per strada, davanti alla Rai.

«Passa un direttore della Rai e mi porta a un Festival a Civitanova Marche dove l’intellighenzia di sinistra pensò che potevo rappresentare l’insoddisfazione giovanile. M’iscrissi a tutti i festival, facevo quattro o cinque brani compreso Uno buono, sfottò a Giovanni Leone. Nel ’73, era concesso sfottere il presidente della Repubblica, anzi, era una nota di merito».

Bennato continua:

«Ero protetto da una sorta di entità che sovrintende cultura, arte e musica, poi, l’entità si rese conto che non ero controllabile. Ma recriminare non mi è concesso. Va bene così, perché fare rock mi diverte e quello che importa è passare vibrazioni positive a chi viene ai concerti».

L’«entità» lo abbandonò perché non era ascrivibile né alla destra né alla sinistra.

«Nel 2016, ho scritto Pronti a salpare, sugli immigrati, e nessuno l’ha fatta sua. O, nel 2003, Fausto Bertinotti disse che tutti avrebbero dovuto ascoltare Bennato, ma pure lì, l’unica cosa che è cambiata è che ora ci sentiamo spesso noi due per parlare di geopolitica. Solo che Fausto divide il mondo in buoni e cattivi, io parlo di umanità adulta e umanità bambina».

Com’era fatto il Sud da cui è partito Bennato?

«Papà si svegliava alle cinque, prendeva la bici, andava all’Italsider. Mamma si organizzava per far sì che lo stipendio bastasse, non avevamo frigo né televisore, ma, allo stesso tempo, lei voleva che noi tre figli avessimo sempre qualcosa da fare, per cui, d’estate, ci cercò un maestro di musica. L’ozio, per lei, era il male. Finì che io avevo tredici anni e col Trio Bennato stavamo già in America, a suonare sulle navi da crociera, avevo passato Gibilterra, visto continenti di persone con la pelle nera. Ho conosciuto Salvador Allende nel ’61, a 15 anni, faceva il medico e non si faceva pagare dai poveri, però era circondato dai capipopolo incapaci».

Racconta perché si iscrisse ad Architettura.

«Mi iscrissi ad Architettura a Milano perché lì c’erano le case discografiche, e io volevo fare la musica, ma certe cose le fai per input che ti arrivano in modo subliminale dalla mamma. Gli uomini che hanno stima della mamma sono uomini che amano e rispettano le donne e infatti io, le donne, le ho sempre rispettate».

Nel 1980, Bennato il primo a riempire San Siro.

«Ho potuto farlo perché ero circondato dai compagni d’infanzia, quelli della scala B, della scala D… Abbassammo il biglietto anche a mille lire, mentre per i Pooh ce ne volevano magari dieci. E facemmo 15 stadi in 30 giorni, mezzo milione di presenze. Invece, negli anni ’70, ai concerti, arrivavano i picchiatori, fascisti pure se non erano di destra. Ci menavano quelli di Avanguardia Operaia, di Lotta continua. A Pesaro, nel settembre ’67, siccome avevamo suonato alla Festa dell’Unità, arrivarono in 15 scandendo: Bennato, Bennato, il sistema ti ha comprato. di farci paura, ma io dissi: chi sono questi scornacchiati? E io e i miei gli saltammo addosso lanciandoci dal palco. I figli di papà se la videro con noi figli di operai. Io mi presi una coltellata alla schiena, ma ogni volta erano pugni, sprangate».

Com’è nata «Un’estate italiana»?

«Quella sigla d’Italia ’90 non volevo farla, sapevo che non me l’avrebbero perdonata. Giorgio Moroder ci mise la musica, io e Gianna Nannini i testi. L’espressione “notti magiche” la misi io, ma era dell’amico Gino Magurno. La frase “e dagli spogliatoi escono i ragazzi siamo noi” è di Gianna. Avevo ragione, comunque: un critico musicale mi disse che ero stato un eroe finché non mi ero messo a sgambettare col pallone».

ilnapolista © riproduzione riservata