ilNapolista

Cuadrado agli ultras interisti: “chiamatemi Giacinto, alla Juventus ero un infiltrato”

Il Napolista svela il discorso del colombiano ai tifosi: “portavo i capelli alla Beccalossi, ho aggredito Lukaku perché sapevo che voleva andare alla Juve”

Cuadrado agli ultras interisti: “chiamatemi Giacinto, alla Juventus ero un infiltrato”

I fatti sono noti. L’Inter a sorpresa, dopo una trattativa tenuta segreta, ha ingaggiato Juan Cuadrado, colombiano e soprattutto ex juventino, per ricoprire il ruolo di esterno destro nella formazione allenata da Simone Inzaghi.

Gli ultras dell’Inter non l’hanno presa bene e dopo una manifestazione improvvisata in Viale della Liberazione, hanno rinunciato a mettere in atto forme estreme di protesta (pare che avessero pronto addirittura uno striscione) in cambio della promessa, formulata dal club nerazzurro, di poter incontrare il difensore per un incontro/seminario sull’interismo.

Il Napolista è venuto in possesso della bozza del discorso che Cuadrado ha preparato in vista dell’incontro. Si tratta di un vero e proprio flusso di coscienza incentrato sulla verità intima e profonda custodita da Cuadrado. Un discorso che, con ogni probabilità, spazzerà via ogni residuo dell’astio che che la tifoseria interista nutre nei suoi confronti.

Senza aggiungere altro, riportiamo il discorso così come lo abbiamo ricevuto:

Ciao a tutti,

sono Juan Cuadrado, ma voi potete chiamarmi Giacinto, il soprannome che mi porto dietro fin da bambino e al quale sono molto affezionato per il fatto che a darmelo furono mio zio Luisito e il mio patrigno Lothar.

Sono state dette molte bugie su di me in questi anni e mi rendo conto che il fatto di aver vestito per otto anni la maglia di quella squadra che oggi non voglio nemmeno nominare possa portare qualcuno a dubitare del mio interismo. Anche alcuni atteggiamenti assunti nelle partite giocate contro l’Inter potrebbero aver contribuito ad alimentare queste dicerie, ne sono consapevole.

Ma la verità è un’altra e sono contento di avervi potuto incontrare oggi per raccontarvela.

Come forse saprete, sono colombiano e precisamente di Necoclí, una piccola cittadina nel dipartimento di Antioquia famosa soprattutto per il suo dolce tipico: el panetòn.

L’Antioquia, che noi del posto chiamiamo affettuosamente “bauscia“, è una regione della Colombia che noi consideriamo la capitale morale del Paese, da sempre in lotta contro quei nullafacenti e ladroni di Bogotà.

Fin da bambino nel mio piccolo cuore nerazzurro ha sempre albergato una incondizionata passione per l’Inter, forse (chissà) perché mio padre somigliava tanto ad Helenio Herrera e mia mamma era la copia conforme di Letizia Moratti. Fatto sta che, come potete vedere ancora oggi, ho sempre portato i capelli alla Beccalossi.

Pensate che sarei dovuto nascere il 15 maggio 1988, ma siccome quel giorno il Milan purtroppo vinse lo scudetto, mia mamma ritardò il parto di  ben 11 giorni. Undici come “Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair; Mazzola, Milani, Suárez, Corso” (che, per inciso, sono state anche le prime parole che ho imparato a pronunciare).

Se avesse potuto sono sicuro che avrebbe aspettato ancora un anno per far coincidere la mia venuta al mondo con lo scudetto dei record, ma è stato solo il primo dei tanti appuntamenti tra me e voi che il destino ha purtroppo impedito.

Non voglio tediarvi troppo con i racconti della mia infanzia e vorrei arrivare subito al dunque. Ho giocato per 8 anni (che ora posso dirlo, sono stati un inferno) per quelli, ma non è come credete, posso spiegarvi: l’ho fatto da infiltrato.

Innanzitutto mi vanto di aver dato tanto per contribuire alle finali perse di Champions League. Credetemi, non è stato facile fingere e sabotare tutto dall’interno, ma la gratificazione per essere riuscito a far sì che sia l’Inter l’ultima italiana ad aver trionfato nella competizione più importante mi ha ricompensato di tutti i sacrifici fatti.

Tuttavia non è questo l’aspetto di cui vado più orgoglioso.

In questi anni in tanti hanno provato a denunciare le ruberie e gli imbrogli dei bianconeri, ma diciamoci la verità, con quale risultato? Certo, calciopoli e la serie B, ma dopo un paio d’anni tutto è tornato come prima. C’era bisogno di qualcuno che mettesse in evidenza il loro modo di fare truffaldino oltre ogni ragionevole dubbio. Qualcuno davanti al quale fosse impossibile trovare un alibi quale che fosse, anche il più fantasioso.

Se è vero, come ebbe a dire una volta Sandro Mazzola, che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, oggi posso dire che quel ruolo me lo sono assunto io. Quel fardello l’ho portato io con un orgoglio e un’abnegazione che potrei definire meneghini!

Sono stati 8 anni durissimi fatti di simulazioni, tuffi, provocazioni, falli e scorrettezze di ogni sorta. Per me che sono un puro (e quale nerazzurro non lo è, d’altronde?) è stata una sofferenza inenarrabile. Ve lo giuro sull’immaginetta di Karl-Heinz Rummenigge che porto sempre nel portafogli!

Ogni tuffo era una spina che si conficcava nel mio cuore. Ogni rigore rubato era una stilettata che mi autoinfliggevo. Ma parliamoci chiaro: quanto discredito sono riuscito a gettare su quella società di infami? Chi può ancora nutrire dubbi sul fatto che siano avvantaggiati dopo tutto quello che ho combinato?

Solo una volta non sono riuscito a trattenermi. Lo sapete tutti, mi riferisco alla scorsa finale di Coppa Italia e finalmente vi voglio raccontare davvero come sono andate le cose, perché non sono sicuro che da fuori si sia capito.

La partita stava andando come volevo, ero riuscito finalmente a far pareggiare Lukaku. Dentro di me ero contento, anche se naturalmente non potevo darlo a vedere, e tutto andava bene fino a quando dalla panchina bianconera mi hanno informato che Lukaku era in trattativa con la Juventus per l’anno dopo.

A quel punto non ci ho visto più dalla rabbia. Davvero sarebbe andato alla Juve? Come poteva Romelu tradire in quel modo il glorioso popolo di tifosi nerazzurri? Ho cominciato a rincorrerlo e a urlargli “gobbo di merda” con tutto il fiato che avevo in gola, ero offuscato dalla rabbia e ho finito per farmi espellere.

Per fortuna la coppa è stata vinta lo stesso da noi dell’Inter e la mia espulsione non ha rovinato tutto, ma col senno di poi avrei dovuto mantenere la calma. Mi scuso con voi per questo, per aver messo a rischio la finale.

Ad ogni modo, tutto quello che vi ho raccontato riguarda il passato. Abbiamo davanti un futuro radioso, fatto di interismo e onestà e sono orgoglioso di avervi potuto finalmente raccontare la mia storia di interista in incognito. Grazie a tutti per avermi dato questa possibilità.

Forza Inter.

Amala.

Grandi emozioni dal 1908.

Chi non salta è juventino

 

ilnapolista © riproduzione riservata