De La Hoya: «Mai amata la boxe, ero solo molto bravo. Ero il robot di mamma e papà»

Il documentario del Golden Boy, una specie di Open di Agassi in video: "Mi sono punito per anni con alcol droga e sesso"

De La Hoya boxe

LAS VEGAS, NEVADA - DECEMBER 04: Boxing promoter Oscar De La Hoya reacts to the decision after WBC lightweight champion Devin Haney is announced as the winner over Joseph Diaz Jr. in a title fight at MGM Grand Garden Arena on December 04, 2021 in Las Vegas, Nevada. Haney retained his title by unanimous decision. Steve Marcus/Getty Images/AFP Steve Marcus / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP

Oscar De La Hoya, l’ex Golden Boy della boxe, dopo anni di successi, aspettative sproporzionate, droghe, alcol e sesso, pubblica il suo Open. Non un libro, come Agassi, ma un documentario in due parti per HBO, nel quale il messaggio è “non amavo quello che facevo, ero stato programmato per farlo”.

De La Hoya ha vinto 11 titoli mondiali in sei classi di peso. E dice che solo ora, superati i 50 anni, è felice: “Vivo libero. Penso prima a me stesso”. Nel documentario descrive nel dettaglio come beveva con gli zii alle riunioni di famiglia prima ancora di compiere 10 anni. E poi di come ha usato droghe e alcol come risposta alla sua vita piena di “stronzate”. Ci sono state anche, immancabili, accuse di violenza sessuale, poi ritirate o risolte. Sua madre lo picchiava. Il film parla anche dei figli che De La Hoya ha avuto da giovane, bambini che ha abbandonato alle loro madri fino a poco tempo fa. E poi ci sono le famigerate foto di lui vestito con abiti femminili, dalle calze a rete ai tutù.

“Ora ho il controllo del mio destino, ho il controllo delle mie scelte. Ho il controllo del mio pensiero. Praticamente ero un robot. Sono stato condizionato a combattere fin dall’inizio, da quando avevo cinque o sei anni. Per diventare campione del mondo, per diventare questa persona che non credo di voler essere”.

“Adesso – scrive il Guardian – dorme fino a 10 ore a notte. Ecco quanto è “rilassato”. Anche le caramelle gommose legali alla cannabis aiutano”.

“Non credo di poter dire che mi sia davvero piaciuto essere colpito”, dice. “Quale ragazzo vuole essere colpito in faccia? Ero solo condizionato. Dovevo fare quello che dovevo fare. Stavo vivendo il sogno di mio padre e stavo cercando di rendere orgogliosi i miei genitori. Non credo di averlo amato davvero, ero solo bravo a farlo. Concentrati e condizionati per farcela, per diventare campioni del mondo2.

Dice che la boxe era lo sfogo per le sue frustrazioni: “Era liberatorio. Senza probabilmente sarei finito in prigione. Ha cambiato la mia vita, ma poi di nuovo mi ha rovinato la vita per molti anni. Ero intrappolato nel mio stesso corpo, vivendo il sogno di qualcun altro. Perché in tutti quegli anni, tutto quello che volevo fare era rendere orgogliosi i miei genitori. Ma allo stesso tempo, avevo questa rabbia nei loro confronti. Rabbia verso mia madre soprattutto. L’unico modo per farla uscire fuori era colpire la testa di qualcuno sul ring”.

Il documentario si conclude con il combattimento finale della carriera di De La Hoya, contro Manny Pacquiao. Dopo racconta di aver sentito un enorme vuoto. Che ha riempito – di nuovo – con alcol, droga e sesso. Ora ne è uscito: “Mi sono rimesso a fuoco. Ho riequilibrato tutto. Ho la mentalità di quel combattente. Ho quella mentalità di andare avanti e non arrendermi”.

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