ilNapolista

Donati: «I casi di doping non emergono perché le istituzioni sportive non vogliono perdere il business»

Alla Gazzetta: «Non c’è nessuna terzietà Una federazione internazionale non può controllare se stessa. Un ricorso al Tar costa, molti rinunciano»

Donati: «I casi di doping non emergono perché le istituzioni sportive non vogliono perdere il business»
archivio Image / Sport / Alex Schwazer / foto Imago/Image

La Gazzetta dello Sport intervista Sandro Donati, l’allenatore che è stato al fianco di Alex Schwazer nella questione doping. Non ha mai smesso di combattere con l’atleta. Donani dichiara:

«Questa storia fa capire quanto alcune istituzioni sportive siano deviate. Era già chiaro quando due persone di alto profilo abbandonarono la Wada. Jack Robertson era capo ispettore e protagonista dell’inchiesta sulla Russia, mentre il ruolo di Rob Kohler era di vicedirettore generale. Uno dei problemi sollevati era stato la mancanza di protezione degli atleti che denunciavano. E su questo punto sono successe cose inquietanti: ci sono voluti alcuni anni e oltre 200 mail perché i coniugi Stepanov (i pentiti più noti dello scandalo del doping di Stato) avessero una risposta. E che dire della discobola Darya Pishchalnikova che raccontò tutto il sistema doping a Iaaf e Wada con una mail che i responsabili di queste due istituzioni girarono ai dirigenti russi? Un atto di grande servilismo e vigliaccheria».

Il doping non ha fatto passi in avanti in questi anni di lotta? Donati parla di sceneggiata.

«Molto è sceneggiata. Non c’è mai un incremento del numero dei positivi. Anzi, si sta assistendo a una crescita preoccupante di certe prestazioni. Penso ai lanci nell’atletica. Una volta solo con gli anabolizzanti facevano certe misure ed ora come si fanno?».

Donati torna sulle istituzioni sportive deviate:

«Ma pure un bambino si rende conto che in certi sport professionistici non emergono i casi di doping e né potrebbero emergere: nessuno perde un business di decine di milioni del valore di un calciatore per la positività a un controllo antidoping. E la presunta uguaglianza fra il professionista di alto livello e il dilettante di alto livello? Ma dove stanno questi professionisti trovati positivi? Per i professionisti, anzi per tutti gli atleti, bisogna pensare ad un sistema più umano che incida in larga misura sulla prevenzione. Per esempio studiando un indice individuale di normalità: se lo superi, vieni fermato».

Donati continua:

«Siamo di fronte a un sistema del tutto autoreferenziale e caratterizzato dall’autotutela. Se un atleta ha il coraggio di sfidare questi poteri va incontro a organi di giustizia che le stesse istituzioni sportive hanno nominato: ad esempio gli arbitri del Tas vengono nominati dal Cio e dalle federazioni internazionali. Non c’è terzietà. E sapete quanto costa ricorrere al Tas o alla Corte Federale Svizzera? Almeno 50mila euro. Così molti atleti rinunciano perché non possono, sistema spietato. Quando hai a che fare con una federazione internazionale, le carte ce l’hanno tutte loro. Ricordate a luglio di sette anni fa cosa successe? Il Tas fissò l’udienza, ma la Iaaf disse che aveva bisogno di studiare i documenti. Ma se il report sulla positività se lo erano tenuto per 40 giorni! L’ennesimo elemento di quella montagna di cose strane della vicenda Schwazer. L’ispettore del trasporto si è contraddetto gravemente, la seconda verbalizzazione infatti smentisce la prima? In una situazione normale sarebbe bastato questo per annullare tutto, ma lor signori non hanno fatto una piega. Attualmente questa è l’attuazione dei controlli: c’è il prelievo, campione A, campione B, dopodiché l’ispettore se ne va con entrambi i flaconi e nelle mani dell’atleta non resta niente».

Donati suggerisce una possibile soluzione:

«L’atleta ha il diritto di avere una terza provetta depositata in un laboratorio accreditato inaccessibile all’atleta e all’ente del controllo. Il sistema è pronto a replicare: ma noi garantiamo. Ma i numerosi scandali dicono altro: se la vicenda della Iaaf ha dimostrato che c’era un mercimonio delle positività consistente nel ricattare gli atleti».

Donati, dopo quasi sette anni di questa lunga storia, che cosa spera?

«Spero che un organismo esterno al sistema sportivo, per esempio costituito nell’ambito dell’Unione Europea, possa avviare un’inchiesta indipendente, ma so che è un’utopia, anche perché la politica è ormai diventata poca cosa».

ilnapolista © riproduzione riservata