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Lo 007 dell’antidoping: «Siamo sempre indietro nelle tecnologie per rilevare il doping»

Raudenski (un passato nell’antiterrorismo) a L’Equipe: “Quando becchi un positivo, il segreto e parlarci e ricomporre il puzzle”

Lo 007 dell’antidoping: «Siamo sempre indietro nelle tecnologie per rilevare il doping»
Imago archivio Image Sport / Lance Armstrong / foto ImagoImage Sport nella foto: Lance Armstrong ONLY ITALY

L’antidoping “gioca al gatto col topo, ed è sempre in ritardo”. Così dice a L’Equipe Nicholas Raudenski, ex agente del Department of Homeland Security americano che ha lavorato a lungo nell’antiterrorismo a New York, ed è passato tra Fifa e Uefa per occuparsi di partite truccate nel calcio. Dal 2021 mette in campo le sue conoscenze nelle indagini dell’International Testing Agency (Ita). Al giornale francese dice che non è al Tour “per fare spazio ai giovani” e perché non ha più l’età per “nascondersi tra i cespugli e dormire in macchina”.

In questi giorni si è tornato a parlare di ombre, dopo l’incredibile prestazione nella crono di Vingegaard.

“Attualmente l’intelligence e l’investigazione sono utilizzate ovunque, nei governi, nelle grandi aziende, ma non era così nello sport. Quando indaghi sulle reti terroristiche, sviluppi risorse e un modo di fare le cose. Il concetto è lo stesso nell’antidoping, è solo che non abbiamo la pistola (ride). Non abbiamo gli stessi poteri, non possiamo sfondare le porte la mattina presto, ma possiamo fare affidamento sulla conoscenza delle indagini passate, interrogare le persone.

“Voglio che tutti i miei agenti parlino con quante più persone possibile. Fare domande è un’abilità speciale e dovrebbe essere usata di più. Sono ambienti in cui c’è molta omertà. Devi sederti con un atleta che è appena risultato positivo e provare a mettere insieme il puzzle con lui. Chi è il dottore, chi c’è dietro, c’è una rete sotterranea? Perché facciamo migliaia di test e sono tutti negativi, devi capire come questo sia possibile. È una partita a scacchi”.

Raudenski dice che quella contro il doping è una battaglia senza fine. Non cambierà mai, soprattutto perché ci sono sempre più soldi nello sport. Il che, per definizione, aumenterà anche il numero di persone che vogliono cercare un vantaggio per vincere. Quindi la domanda è come fare meglio, come lavorare meglio con gli atleti, come educarli meglio? Questo gioco del gatto col topo esisterà sempre. Siamo sempre indietro nelle tecnologie per rilevare il doping. È una sfida perpetua. Ma quello che mi piace dell’Uci è che vogliono che le cose vadano avanti. Hanno investito nella lotta. C’è il desiderio di non tornare ai vecchi tempi”.

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