Il personaggio creato dallo scrittore fiorentino piace perché è un uomo che esce dalla Resistenza senza il carico di acredine rimasto in molte persone
Continua il nostro viaggio nel noir italiano. Oggi vi parliamo dello scrittore Marco Vichi lo scrittore fiorentino che ha creato il personaggio del Commissario Bordelli, classico investigatore italiano che si muove negli anni ’60 dello scorso secolo.
Il penultimo libro – “Non tutto è perduto (Guanda)” – e l’ultimo giallo uscito un mese fa – “Nulla si distrugge (Guanda)” – sono ambientati nel 1970. Ritroviamo Franco Bordelli nell’aprile del 1970 appena dimessosi dalla Questura di Firenze per un pensionamento che in realtà nasconde una voglia di non arrendersi, sia per quanto concerne la risoluzione di un omicidio – il suo primo caso ed unico non risolto – sia nella predisposizione di mille altre attività per riempire il suo quotidiano che spazia tra Impruneta e Firenze con puntatine investigative nel Chianti (alter ego di Vichi).
Con il suo maggiolino va in giro spesso, lambendo la Questura a caccia di fantasmi solidi del passato. Ha una donna molto giovane – l’Eleonora – ed insieme vivono le loro vite parallele ma sempre più sovrapposte. Tra il ritorno dell’Apollo 13 dopo il fallimento di una missione ed il suo tentativo di fare pubblicare le poesie della madre, Bordelli, cerca di tenersi vicino gli amici con le serate della Confraternita del Chianti dove ci si sfida a colpi di piatti della tradizione e dell’invenzione, annaffiati dal solito vino rosso dei Balzini. Legge il nostro (ex?) commissario: Alba De Céspedes – “Dalla parte di lei” – e sembra che – della scrittrice romana morta a Parigi – apprezzi soprattutto la capacità di sminuzzare gli stati d’animo.
Perché piace Bordelli? Perché è un uomo che esce dalla Resistenza senza quel carico di acredine che era rimasto in molte persone – ma ben sapendo dove stava la verità fattuale – ed anche per quella sua innata capacità di essere, pensare ed agire da sbirro.
Il suo giovane ex sottoposto – il brillante Piras, che studia da Questore – è bersagliato dalle sue richieste di informazioni soprattutto sul quel ragazzo, figlio di un industriale fascista – ucciso al Molino del Piano nel 1947. Lo stesso anno di “Tempo di uccidere” del genio Ennio Flaiano. Vive la sua libertà – così come i suoi rapporti con il cane Blisk e la giovane Eleonora – il nostro segugio in pensione, ma il merito è anche della scrittura di Marco Vichi che sa restituirci l’atmosfera di quegli anni: ancora sospesi nella ricerca di una verità che ci ha dato democrazia ma che forse ci ha lasciati ancora desiderosi di capire.