A La Repubblica: «La prima volta che vidi Eduardo aveva lo scialletto sulle spalle, profumava di lino e un po’ di borotalco. Gli presi la mano e disse: “Non stringete”»

Su La Repubblica un’intervista a Vincenzo Salemme. Ha quasi cinquant’anni di carriera alle spalle. La prossima stagione sarà il protagonista di “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo: debutta il 21 ottobre a Orvieto, sarà al Diana a Napoli a novembre, poi in giro per l’Italia. Intanto, prepara una serata di teatro per la Rai.
Salemme racconta la sua famiglia e la sua adolescenza. Suo padre era avvocato. Lui ha studiato al liceo classico Umberto.
«Papà, civilista e penalista, diceva che sarei stato molto portato. Se non fossi riuscito come attore era un mestiere che avrei potuto fare. Un avvocato in famiglia c’è, mio fratello».
Da adolescente era tormentato dai tic.
«Soffrivo di una forma di timidezza patologica, avevo dei tic violentissimi, giravo su me stesso mentre camminavo, tanto che chiedevo a mia mamma di affacciarsi al balcone, così quando mi giravo sembrava che la salutassi».
La passione per la recitazione, per Salemme, è nata presto.
«Da bambino. Dalle suore facevano le recite religiose, veniva il vescovo e volevo essere in palcoscenico. A Natale invece delle letterine scrivevo piccole commedie che recitavo».
Salemme racconta l’incontro con Eduardo:
«Arrivai da Bacoli a Cinecittà, me lo presentò il mio amico Sergio Solli. Eduardo uscì dallo Studio 5, era una pausa della registrazione di Natale in casa Cupiello. Aveva lo scialletto sulle spalle, profumava di lino e un po’ di borotalco. Era gracile, ricordo che gli presi la mano e disse: “Non stringete”. “Diretto’” gli dissero, lo chiamavano così, “sto guaglione vorrebbe fare la comparsa”. “No”, rispose lui “facciamogli dire qualche battuta cosi prende la paga da attore e non da comparsa”. Mi aveva visto talmente magro che pensava non mangiassi da chissà quanto tempo».
Ha lavorato anche con Luca, figlio di Eduardo.
«Era un ragazzo intelligente, sensibile, aveva una sua poetica, diversa da quella eduardiana, si sentiva di somigliare a Vincenzino Scarpetta, il figlio di Eduardo riconosciuto. Era amatissimo dal pubblico, un giorno al ristorante mi chiese: “Ma il pubblico me lo riconosce il mio? Devo fare qualcosa che non è di papà”. Gli risposi: “Ti amano perché fai benissimo quello che fai”. Aveva fantasia, e grande empatia con gli spettatori. Era alto e si piegava sulle gambe per recitare».
In cosa si riconosce il genio?
«Dalla naturalezza con cui fa qualcosa di divino, e anche da un filo di disperazione. Non penso sia un merito, nasci genio».
Salemme ha girato tre film con Nanni Moretti. Gli chiedono come nacque il loro rapporto.
«Eravamo entrambi vivaci, ci piaceva giocare a calcio, diventammo amici. Veniva al mio paese, a Bacoli, in famiglia. C’era un’affinità nella visione del mondo, una certa distanza dalle polemiche, dalle risse inutili: ci piaceva il lavoro come divertimento. Poi ci siamo persi, non so perché, la vita è così».
Il rapporto col successo?
«Mah. L’ho avuto gradualmente, non me ne accorgo».
Sulla fede:
«Non sono credente né ateo. Solo speranzoso che ci sia qualcosa di meglio di là, a guardarci».
Rimpianti? Salemme:
«Non aver avuto figli. Per colpa mia, e so che non avrei potuto fare altrimenti, visto il mio carattere complicato. Avrei voluto essere diverso. Ma è andata così: un figlio è l’unica cosa che mi manca nella vita».