Secondo la Gazza vuole tornare ad allenare: “Se l’infelicità di tenersi lontano dallo stress diventerà più forte dello stress stesso, agirà di conseguenza”

Luciano Spalletti. La Gazzetta torna su di lui. Lo sbatte in prima pagina col titolo “La voglia matta”. E ancora: «Ma quale anno sabbatico nessuno però mi ha mai cercato» Il ritorno in panchina? Si vedrà. S’arrabbia con chi gli parla dell’anno di riposo: «Mai detto».
Un lungo articolo di Giancarlo Dotto.
Se glielo chiedi, nega: «Nessuno mi ha mai cercato». Non c’è verso. Si farebbe strangolare con un cappio di spine piuttosto che ammetterlo. Alza il ponte levatoio. La realtà è un’altra, esattamente opposta, e gli operatori di mercato lo sanno bene. Lo cercano in tanti. Flauti e sirene. Blandizie da ogni angolo del mondo. Gli arabi lo vorrebbero anche subito. Sono pronti a fargli ponti d’oro, l’Al Ahli, ma non solo. Club italiani e inglesi hanno fatto sondaggi. Spalletti, ascolta, tace, rumina. E s’interroga. Volete farlo incazzare di brutto? Parlategli di “anno sabbatico”. Mai detta ‘sta roba del “sabbatico”. Lui vuole solo capire.
Continua a propinare la balla atomica dell’aver lasciato per troppo amore, la Corazzata Potemkin dei giorni nostri per dirla alla Fantozzi (“Luciano ha abbandonato qualcuno e qualcosa che non ci pensava proprio di abbandonarlo. Ha abbandonato un amore per “eccesso di amore”. E di stress. Che, in certi casi, coincide con l’amore”).
E ora s’interroga. Sta esplorando la sua testa complicata. Che, al confronto, la mappa del Botswana è un gioco da poppanti. Ha chiuso con il suo passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il suo passato. Ha chiuso piuttosto, e risolto consensualmente, i rapporti con un presidente con cui non c’è mai stato feeling e non poteva esserci, considerando i caratteri e i ruoli. Ora Spalletti deve fare i conti con il peso di un addio. Una storia troncata sul più bello, si sa, attizza il fuoco, non lo spegne.
Lo Spalletti alimentato di oggi non è quello esausto di due mesi fa. La fame di pallone comincia a intrufolarsi subdola nel suo bunker spinoso. Si fa largo un tenue accenno d’infelicità. Se l’infelicità di tenersi lontano dallo stress diventerà più forte dello stress stesso, Spalletti agirà di conseguenza, senza far torto a nessuno, meno che mai a se stesso. Alla faccia dei “sabbatici”. Lui fa di tutto per darsi una normalità, ma la normalità di Spalletti è una camera di tortura. Una sezione di Guantanamo. Dove lui è, allo stesso tempo, il torturato e il torturatore. La sua condanna? Prendere tutto inesorabilmente sul serio. Che si tratti di scegliere un vino da bere, una scarpa da indossare o una parola da dire.