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Arteta: «Dopo aver perso la Premier in quel modo ho pensato di lasciare l’Arsenal»

A GQ: «Per settimane mi sono chiesto se fossi l’uomo giusto, poi mi sono risposto di sì. Adoro vincere, ma dobbiamo meritare di vincere».

Arteta: «Dopo aver perso la Premier in quel modo ho pensato di lasciare l’Arsenal»
Arsenal's Spanish manager Mikel Arteta reacts during the UEFA Europa League Group A football match between Arsenal and Bodoe/Glimt at The Arsenal Stadium in London, on October 6, 2022. (Photo by Daniel LEAL / AFP)

Su GQ una lunga intervista a Mikel Arteta, allenatore dell’Arsenal. Ha l’ossessione della vittoria sin da quando era bambino, un’ossessione che lo accompagna ancora. All’inizio dell’anno ha portato all’Arsenal un labrador color cioccolato che ha chiamato “Win”. Lo ha fatto proprio per instillare nella squadra la voglia di vincere.

Alla fine della scorsa stagione, l’Arsenal, che era stato in testa alla classifica per nove mesi, è caduto. Nonostante fosse in vantaggio di otto punti a gennaio e la giovane squadra giocasse uno dei calci più entusiasmanti del campionato, l’Arsenal ha subito una serie di infortuni e risultati pessimi, consegnando il titolo al Manchester City. Al termine della stagione, Arteta ha avuto bisogno di tempo per superare il dolore.

«Ho dovuto affrontarlo e mi ci sono volute alcune settimane. Non so se l’ho superato, e probabilmente non voglio perché ne ho bisogno per stare meglio». 

Aggiunge:

«Confesso di aver pensato di lasciare l’Arsenal questa estate dopo la Premier persa in quel modo. Mi sono chiesto se fossi l’uomo giusto per questa squadra dopo quel fallimento e se avessi ancora la voglia di continuare. Le prime settimane sono state dure: mi sono guardato allo specchio e ho capito però che avevo fatto il massimo. E se anche avessi potuto fare qualcosa di meglio, ho capito che da quegli errori avrei solo potuto imparare e migliorare. Ci ho riflettuto molto e mi sono detto che sì, ero ancora l’uomo giusto al posto giusto. Ora ho ancora più energia e positività».

Arteta ha incontrato Pep Guardiola a La Masia quando era un adolescente e Guardiola, che ha 10 anni più di lui, giocava in prima squadra.

«Si è davvero preso cura di me fin dall’inizio e da quel giorno mi sono davvero affezionato a lui».

Quando si è ritirato dal calcio professionistico, nel 2016, Guardiola lo ha assunto come allenatore al Manchester City, vedendo in lui, pensa Arteta, «qualcuno disposto a dare la vita per lui». Arteta aveva sempre desiderato tornare all’Arsenal, ma quando il club gli ha offerto l’incarico di allenare la prima squadra maschile, nel 2019, ha avuto dei dubbi. Temeva di non essere pronto.

«Eravamo a metà stagione ed era il mio primo lavoro».

Allora andò da Guardiola a dirgli che non era sicuro di accettare l’incarico. Pep rispose:

«Sei pronto. Se non lo fai, ti prendo a calci in culo».

Quando è arrivato all’Arsenal, ha visto che il problema era come si sentivano le persone all’interno del club. Non era un ambiente in cui le persone potessero sentirsi al sicuro e condividere gli stessi valori. Sapeva che dovevano tornare ad essere un club unito, e così ha piantato nuove radici. Ha acquistato un ulivo di 150 anni e l’ha fatto piantare nel terreno tra il suo ufficio e i campi di allenamento. Arteta guarda l’ulivo ogni giorno e i giocatori gli passano accanto come promemoria di ciò che stanno curando tutti insieme. L’albero, come il poster che dice “GODERE” sulla parete dell’ufficio di Arteta o i suoi disegni di un cuore e un cervello che si tengono per mano, presenti nel documentario Tutto o niente di Amazon, fanno parte dell’etica di Arteta come manager. Non gli importa, scrive GQ, che alcune persone abbiano riso dei suoi scarabocchi sulla lavagna: altri se lo sono tatuato sul corpo.

Arteta è fiducioso: crede di poter vincere il titolo il prossimo anno. Dice: «Altrimenti non sarei seduto qui».

Dice che vuole vedere la squadra determinata a essere la migliore: «Adoro vincere, ma dobbiamo meritare di vincere».

Vuole essere il miglior allenatore del mondo e vincere ogni singola partita in questa stagione, ma perdere gli ha dato una sorta di impavidità che lo ha reso libero.

«Il giorno in cui ho deciso di fare l’allenatore ho avuta ben chiara una cosa: non so se verrò esonerato domani, tra un mese, tra un anno, ma succederà. Non voglio lasciare il mio lavoro con la paura di ‘e se?’».

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