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Beccalossi: «Fumavo un pacchetto al giorno, giravo per locali. Nel mondo ci so stare, mi meritai il rispetto di Maradona»

Alla Gazzetta: «Ero ingestibile. Facevo un allenamento vero a settimana, la sera Milano era bellissima. Ma mi volevano bene tutti, anche dopo i due rigori sbagliati».

Beccalossi: «Fumavo un pacchetto al giorno, giravo per locali. Nel mondo ci so stare, mi meritai il rispetto di Maradona»

La Gazzetta dello Sport intervista Evaristo Beccalossi. Cresciuto nel Brescia, venne acquistato dall’Inter nel 1978 e in sei anni con i nerazzurri vinse un campionato e una Coppa Italia. Poi il passaggio alla Sampdoria, dove ha vinto una Coppa Italia. Chiuse la carriera giocando con Monza, Brescia, Barletta e Pordenone.

Talento indiscusso ma discontinuo, al punto da non aver mai giocato in Nazionale, Beccalossi è stato molto amato dai tifosi dell’Inter, anche per una doppietta nel derby vinto dall’Inter per 2-0 il 28 ottobre 1979. Un episodio, in particolare, l’ha fatto uscire dal campo e portato a teatro. L’attore Paolo Rossi gli ha dedicato uno strepitoso pezzo teatrale che prende spunto da due rigori sbagliati da Beccalossi nel giro di pochi minuti in una partita di Coppa delle Coppe tra l’Inter e lo Slovan Bratislava. Quando tornò a San Siro dopo quella partita, Evaristo fu accolto dal boato dei tifosi.

Beccalossi, da dove partiamo?

«Dalle sigarette. Arrivai a Milano a 22 anni da Brescia, andai subito in piazza Duomo, accesi la Marlboro rossa, chiusi gli occhi e me la gustai. Era cambiato tutto».

Era davvero ingestibile?

«Sì. Ed ero spontaneo. Portavo i capelli lunghi per proteggermi, come fossero uno scudo o una corazza, anche se non mi piacevano perché somigliavo a Branduardi e Cocciante. Arrivai all’Inter e avrei preso l’8. Mi diedero il 10, che tre anni fa mia figlia Nagaja mi ha fatto tatuare sul braccio. Pensai a Mazzola, Suarez, Corso. Cosa c’entravo io con loro? La Gazzetta fece un inserto, ce l’ho ancora a casa: in copertina io e Platini, il mancino e il destro. Cosa c’entravo io con Michel? Ma contro la Juve davo il massimo ancor più che contro il Milan. Non sapevo mai come avrei giocato: arrivavo a San Siro carico e non toccavo palla, ero reduce da una settimana di serate e facevo solo numeri. Ero così. Gli psicologi dicono che sono pericoloso quando ho tutto sotto controllo. Ma se tornassi indietro non cambierei nulla. Io voglio morire ingestibile».

Si allenava? Beccalossi:

«Insomma… Un allenamento vero a settimana. Il martedì recuperavo dalle botte, il mercoledì ci davo dentro, il giovedì dipendeva, il venerdì mi sdraiavo sul lettino del massaggiatore Dellacasa con sigarette e Gazzetta e tiravo sera, il sabato provavo le palle inattive. Fumavo un pacchetto al giorno, bevevo una decina di caffè, ma i compagni mi accettavano così com’ero».

Niente regole?

«Le mie. La sera, Milano era bellissima. Cenavo tardi, poi andavo in giro, finivo al Derby o in altri locali. Sui navigli cercavo posti dove suonavano musica in dialetto. La mattina dormivo un po’ di più. Però andavo dal tabaccaio, dal barista e tutti mi volevano bene. Anche quando sbagliai quei due famosi rigori: al ritorno a San Siro il pubblico fu eccezionale».

Zero rimpianti e nessun paragone con giocatori attuali («vanno tutti più veloce»). Capo delegazione con l’Under 19 che ha vinto l’Europeo, racconta il suo feeling con i calciatori..

«Non è vero che le nuove generazioni sono viziate, i ragazzi vanno ascoltati. Mi hanno insegnato il loro linguaggio. Grazie a questi baldacchini (indica il cellulare, ndr) hanno scoperto chi ero: prima mi chiedevano pure se fossi destro o mancino. Dopo l’espulsione nel girone contro il Portogallo sono andato da Lipani e gli ho detto: “Hai fatto una stupidaggine, succede. Adesso non la farai più”. Una sera, tardi, ne ho trovati dodici a giocare con la play. Qualcuno temeva una punizione. Figuriamoci: “Voi andreste premiati, perché così state facendo gruppo”. Ai miei tempi nelle camere succedeva di peggio. Dopo la sconfitta nel girone abbiamo lasciato che i ragazzi liberassero la testa al mare sulle moto d’acqua. Con Bollini andavamo d’accordo, l’ambiente era molto buono. Io ho portato la mia fantasia. Un giocatore un giorno mi ha visto fumare e mi ha chiesto se poteva anche lui: “Ok, ma mettiti in un angolo e non farti beccare”. Voglio bene davvero a questi ragazzi. Hasa dopo ogni passaggio sbagliato si copriva la faccia con la maglietta. Gli ho detto di piantarla e di essere felice delle sue qualità. Lo spogliatoio è importante. In ritiro, per fortuna, io non avevo il telefono: sa quanti casini avrei combinato se l’avessi avuto? Questi giovani sono proprio bravi».

Adesso lei cosa farà?

«Non lo so. Il mio cuore batte per la Nazionale e per l’Inter. Con Marotta ho un ottimo rapporto. Ma dopo un mese che non vedo i ragazzi, mi mancano. Proseguire il mio percorso in azzurro o tornare nella casa nerazzurra: due splendide soluzioni. Nel mondo ci so stare, qualche regola la seguo anche io… Mi sono guadagnato il rispetto di campioni come Maradona e Ronaldo e delle istituzioni. Dopo il successo dell’Under 19 mi hanno scritto Infantino, che mi invita sempre ai Mondiali, e Gravina. E penso con riconoscenza a Tavecchio, che mi volle in federazione».

Come vorrebbe essere ricordato? Beccalossi:

«Come una persona vera. Ho sbagliato, ho pagato, ma ho sempre vissuto per le emozioni. E se sbagli per questo motivo, è davvero un errore?».

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