Il ct vincitore dell’Europeo U19 al Foglio: «Oggi abbiamo il tuttocampista, non abbiamo più bomber. Ogni mio allenamento finisce con i tiri»

L’allenatore dalla porta accanto, così definisce Alberto Bollini il Foglio. Il commissario tecnico che ha vinto l’Europeo U19 con l’Italia, adesso sarà il vice di Mancini, nel frattempo il quotidiano lo ha raggiunto per fargli qualche domanda:
«Ho allenato la quinta generazione di ragazzi sotto i vent’anni. Ho avuto i no telefonino, quelli del primo telefonino, quelli un po’ più moderni, quelli dei primi social e adesso questi, che sono social all’inverosimile. Chi dice che i ragazzi di oggi sono complicati non ha capito nulla. Questa è una generazione iper comunicativa che spesso non lo è. Tendono all’isolamento. Sta a noi creare le sollecitazioni giuste. Sono svegli, intuitivi, intelligenti. Con loro mi sento a mio agio».
57 anni e non sentirli, verrebbe da dire. E in effetti è così visto come parla del concetto di gruppo:
«Un gruppo non ha segreti. Ci deve essere lealtà, sincerità, empatia, capacità di ascolto, gestionale e calcistica. Chiarezza nella comunicazione. Questo ti porta ad avere credibilità. Con questi ragazzi devi essere credibile. Il calcio e l’azzurro per me sono emozione pura. Una volta me lo raccontavano: l’Italia, l’azzurro… Sì, ma quando ci sei dentro senti una magia. È incredibile».
Bollini è tornato a casa da vincitore, nella sua Poggio Rusco lo hanno festeggiato come si deve nella piscina comunale, nel luogo più grande possibile per un comune di 6mila abitanti:
«Una delle immagini più belle è stata a Misano, sulla mia spiaggia. Avevo bisogno di relax. Sono arrivato, mi sono messo sul lettino. A un certo punto è partito l’applauso. Così, spontaneo. Bellissimo».
Lui non è certo arrivato dal nulla. Ha allenato i pulcini, la Massese (Modena) in Terza categoria. A Modena allenava gente più grande. Poi l’Italia e la vittoria dell’Europeo:
«Ai ragazzi ho detto “non è una rivincita”. Poi gli ho mostrato tre foto molto significative per la nostra avventura. E in quei giorni aveva compiuto gli anni Kayode. La sera del compleanno mi era venuta – non so perché quella canzone che fa cabriolet panorama. L’abbiamo fatta diventare: Kayode panorama. L’abbiamo cantata anche il giorno della finale all’ultima riunione tecnica».
Bollini continua:
«Dico una parola: tuttocampista. È vera. Oggi il difensore deve saper difendere e impostare, l’attaccante deve fare gol e difendere. Una volta li dovevi convincere. Oggi no. Tutti devono saper fare calcio. Da un lato questa cosa ha penalizzato la generazione dei centravanti. Abbiamo gli universali, ma il bomber degli ultimi trenta metri l’abbiamo perso. Talento ce n’è tanto: ci sono società che non riescono a colmare il gap enorme tra Primavera e prima squadra. La dispersione è data anche dall’assenza delle categorie intermedie. Per il futuro ho fiducia».
E conclude:
«Non c’è un mio allenamento senza conclusioni a rete. Nel basket ci sono i ventiquattro secondi, io faccio che entro il minuto bisogna tirare. Se il ragazzo perde il senso della porta che fai? Più tiri, più situazioni da tiro. E più autoricerca della conclusione. Prendi i Boninsegna, i Vieri, i Toni. Questi si autocontrollavano la palla e poi tiravano».