Su Libero racconta il servizio militare insieme, nel 1964. “Mi trattava come un calciatore: mi dava palle così facili che segnai persino due gol”

Vittorio Feltri racconta Gianni Rivera su Libero. Nel 1964, quando Rivera, a 21 anni, era già al Milan da quattro anni e faceva decine di gol a stagione, aveva già vinto uno scudetto e una Coppa dei Campioni, i due si ritrovarono a fare insieme il servizio militare. Feltri all’epoca era iscritto alla Federazione italiana della scherma, era uno sportivo come Rivera, quindi vennero mandati entrambi al Centro addestramento reclute di Orvieto, la caserma dove venivano ammucchiati gli sportivi. Si conobbero così.
“Rivera, in mimetica, era un giovane come tutti gli altri, una recluta tra le altre reclute, e a nessuno venne mai in mente di trattarlo con i guanti di velluto”.
E Rivera si adattò “al clima spartano e di prepotenze della vita da soldati in tempo di pace, tipico del militarismo degli anni Sessanta“.
Feltri racconta:
“In camerata dormivamo in dodici, Rivera era guardato con ammirazione e rispetto, ma lui, titolare fisso nel Milan, nei nostri confronti si comportava con modestia, da «dodicesimo»”.
Tra commilitoni c’erano normali rapporti di amicizia e confidenza tipici della caserma. Feltri smonta la leggenda secondo cui Rivera era tirchio.
“Spesso, la sera, visto che a nessuno era permesso di uscire dalla caserma e il rancio faceva piuttosto schifo, ordinava dei polli arrosto, li faceva portare in camerata, e li divoravamo tutti insieme. Rispetto a noi, che eravamo perlopiù senza un quattrino, era un signore, era un gigante del calcio e guadagnava molto: ogni volta pagava allegramente tutto lui, di buon grado”.
Alcune sere si giocava a calcio, si improvvisavano delle partite, racconta Feltri. E poiché mancava sempre qualcuno per formare una squadra completa, veniva reclutato anche lui. E Rivera trattava Feltri come un calciatore come tutti gli altri.
“Rivera giocava con leggerezza ma senza supponenza, mi passava la palla come se io fossi un giocatore «normale» e non uno schermidore che si trovava in mezzo a un campo di calcio, e la passava in modo meraviglioso, mi dava delle palle talmente facili da farmi sembrare un calciatore vero. Ricordo che feci perfino due gol: Rivera guardava e toccava il pallone, che passava senza che nessuno riuscisse a prenderlo e arrivava giusto sul mio piede. E a quel punto avevo solo da spingerlo in porta”.
Oggi, scrive Feltri, di Gianni Rivera non si parla quasi più.
“Gianni Rivera è stato un eroe gentile”, Gianni Brera gli rimproverava di essere poco virile in campo e lo chiamò «abatino» “perché sembrava giocare in punta di piedi, leggero, mai falloso, mai irruento. Danzava con il pallone, quasi non calpestava il prato del campo di gioco. In più, parlava poco, con l’erre moscia, e i suoi modi sono sempre stati contenuti ed eleganti”.