De Laurentiis poteva non piacere ma ha sempre avuto le idee chiare, quest’estate no. E siamo certi che Veiga al Real Madrid ci sarebbe andato
Tre milioni per il Napoli non sono tanti e per Aurelio De Laurentiis sono ancora meno. Eppure è più o meno per quella cifra che il Napoli si è lasciato sfuggire Gabri Veiga, col reiterato tentativo di abbassare le pretese del Celta Vigo e di trattare il prezzo della clausola, 40 milioni. Alla fine lo spagnolo (21 anni) va all’Al Ahli, lo stesso club che ha a lungo seguito Zielinski (30 anni). È perfino ridondante sottolineare che è una beffa cocente, visto che l’affare Veiga-Napoli fino a qualche giorno fa era considerato cosa fatta a prescindere dal futuro del polacco, con le visite mediche a Villa Stuart prenotate per domenica scorsa.
Non sappiamo precisamente com’è andata, chissà se lo sapremo mai. In fondo, non è neanche così interessante. Il problema d’altronde non è Gabri Veiga in sé, che pure è tanta roba. E che sarebbe stato un innesto eccellente anche se fosse arrivato per sostituire Zielinski.
Il problema, ‘o fatto, è che evidentemente non è bastato il glorioso terzo scudetto per proiettare il Napoli in una dimensione diversa. Il club azzurro resta, anche per un giovane talento del modesto Celta Vigo con una sola stagione importante alle spalle, un’opzione di seconda o addirittura di terza fascia. Che vuol dire? Che se Veiga avesse dovuto scegliere tra il Real Madrid e l’Al Ahli, anche di fronte ad una disparità di stipendio, molto probabilmente avrebbe scelto il Madrid. Vale per i club della Premier, per il Barça, per il Psg, per la Juventus. Può sembrare un’ovvietà ma non vale ancora per il Napoli, nonostante gli sforzi di questi anni. E questa è una verità che fa male, e che avevamo toccato con mano già quando De Laurentiis aveva annunciato l’ottimo (e simpatico) Rudi Garcia, ufficializzando a sorpresa una scelta che, dopo venti giorni di toto-nomi, apparve ai più (e, anche qui, legittimamente) come una scelta di ripiego. “Non c’era la fila per allenare il Napoli”, titolò il Napolista.
Questo, va detto, non dipende certo soltanto dalla società. Uno status non si ottiene dall’oggi al domani, e chi scrive è convinto che tutto sommato il club abbia fatto il massimo, in tutti questi anni, per puntare in alto, per rafforzare la propria posizione nell’élite del calcio europeo. Peraltro, non era scontato che questa estate il Napoli riuscisse a tenere tutti i migliori calciatori della rosa a parte Kim, e rifiutare le offerte che ha rifiutato De Laurentiis per Osimhen (che sia stato conveniente o meno) è stato un lusso che ci si è potuti permettere solo grazie a una gestione aziendale economicamente solida che altri club italiani si sognano. È una spilla che il Napoli può orgogliosamente appuntarsi al petto, in attesa di vedere se accanto alla permanenza dei big si concretizzeranno i rinnovi faraonici strombazzati dai media, ancora non ufficiali. Contemporaneamente, va detto che ad oggi tutti gli esuberi (Demme, Zedadka e company) non sono stati ancora piazzati: in questo, forse ancora più dello scouting, Giuntoli era un maestro e averlo o non averlo al momento non sembra essere proprio la stessa cosa.
Quest’ultima cosa (i rinnovi) sì che dipende dalla società. Così come a dipendere dalla società è una sessione di calciomercato che (al 24 di agosto si può dire) sembra concludersi come è iniziata, ovvero all’insegna della confusione e, per l’appunto, del ripiego. Un mezzo fiasco che dopo lo scudetto, in tutta franchezza, non ci si poteva aspettare. Eppure i fatti, purtroppo, sono ostinati: Danso e Gabri Veiga, i due grandi obiettivi di questa estate, inseguiti per diversi mesi, dopo trattative tanto mediatiche quanto estenuanti, sono entrambi sfumati con tanto di pubblici sfottò: quelli del Lens, con il video sui cortigiani del Sud Italia; quelli degli arabi, che su Twitter scrivono a De Laurentiis che ora “può tenersi il suo giocatore (Zielinski, ndr)”.
Se c’è una cosa su cui De Laurentiis è stato raramente contestato è la chiarezza. È uno dalle idee chiare. Condivisibili, meno condivisibili… ma chiare. Ed è con le idee chiare che è nata la rivoluzione dell’anno scorso, che poi ha prodotto lo scudetto. Per dire: Insigne è stato consapevolmente portato a scadenza e Kvaratskhelia è arrivato prima di Dimaro. Dalla serie: si imbocca una strada e si va fino in fondo. Quest’estate, invece, va detto che il Napoli ha dato l’impressione opposta. È sembrato impegnato in un continuo rincorrere. Basti pensare alle modalità con le quali si è arrivati alla scelta del nuovo direttore sportivo, Meluso, e alla conferenza di presentazione. La sensazione è che il Napoli e De Laurentiis abbiano perso un treno, un’opportunità: consolidare, anche sul mercato, una posizione di potere sportivo ottenuta. E alla fine dei conti è questa consapevolezza, oltre a Gabri Veiga, a lasciare l’amaro in bocca.