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Gravina: «Non mi sento sulla graticola. Se mi dimettessi sarebbe un disastro»

A L’Espresso: «Non sono i detrattori a votare, devo rispondere a chi mi dà fiducia. Continuo a lavorare per il bene del calcio».

Gravina: «Non mi sento sulla graticola. Se mi dimettessi sarebbe un disastro»
Gabriele Gravina, President of the Italian Football Federation (FIGC), waves on the red carpet ahead of the 2021 Globe Soccer Awards at the Burj Khalifa in Dubai on December 27, 2021. (Photo by Giuseppe CACACE / AFP)

Su L’Espresso una lunga intervista al presidente della Figc, Gabriele Gravina. Parla della visione generale che si ha del calcio, ritiene che il mondo del pallone sia meglio di quanto appaia a leggere le cronache dei giornali.

«Gli operatori della comunicazione sono spesso più attratti dagli aspetti che alimentano la polemica e da soggetti che hanno voglia di sottolineare solo la negatività. Ritengo che il mondo del calcio sia migliore di quello che vogliono far apparire».

Gravina elogia i programmi della Figc per gli atleti paralimpici e per i minorenni non accompagnati che arrivano ai centri di accoglienza e che la Federcalcio aiuta dando loro la possibilità di partecipare a un campionato di calcio. I programmi per la scuola, l’educazione e la formazione nelle carceri.

«Ma perché non ne parliamo? Purtroppo, c’è una dimensione che interessa ai più: quella economica, quella dell’opulenza. Ma riguarda una percentuale minima su un milione e 400 mila tesserati».

L’opulenza riguarda sostanzialmente la Serie A? Gravina:

«Quando nel mondo del calcio sento dire: “Noi creiamo ricchezza”, mi permetto di dire: “Però anche debiti”. Purtroppo il settore ha un indebitamento che oscilla ormai intorno ai 5 miliardi di euro, quindi c’è una confusione incredibile tra il concetto di crescita e il concetto di sviluppo. La crescita riguarda un valore assoluto. Lo sviluppo implica un concetto relativo basato su valutazioni soggettive. Sviluppare significa “togliere dal viluppo”, quindi crescere tenendo sotto controllo i costi. Altrimenti, se tu cresci, aumentano i costi e, sforando la crescita, tu fallisci».

Non è vero, dice Gravina, che chi spende vince di più.

«C’è un’equazione che non è mai vera: chi spende di più, vince di più. Ultimamente non è così. Altrimenti il Paris Saint-Germain avrebbe stravinto negli ultimi anni e non avrebbe vinto il Napoli, che è quello che ha speso un po’ meno rispetto a tutti gli altri. Diciamo che c’è un aspetto che riguarda ogni settore dell’economia di mercato, ovvero la progettualità. Chi ha progettualità, visione e riesce a trasformarle in un qualcosa di reale, riesce anche a centrare risultati importanti. Diversamente, non è che se spendi di più, vinci di più. Molte volte assistiamo a delle situazioni che destano pure grande preoccupazione. Qualcuno, per esempio, è convinto di dover investire più risorse di quante potrebbe per accedere al campionato di categoria superiore, ma poi puntualmente fallisce e quindi, non solo non ottiene la vittoria, ma perde anche tutto quello che aveva in cassa».

Perché il calcio è così ingovernabile?

«Il calcio è governabile e, secondo me, è governato pure bene. Bisogna non confondere le conflittualità dialettiche tra alcune componenti con l’ingovernabilità. Nel mondo del calcio ci sono sette componenti: arbitri, calciatori, allenatori, dilettanti, professionismo di base, professionismo medio e alto. È complicatissimo far convergere tutti e mettere insieme gli interessi di chi gioca e di chi allena o deve arbitrare. Quindi, è chiaro che ci deve essere necessariamente una dialettica, un confronto e uno scambio di riflessioni. Non è, al contrario, accettabile che questo confronto venga strumentalizzato oppure contaminato da interessi personali, simpatia o antipatia».

Gravina parla di 5 miliardi di debito: come si fa a non far implodere il sistema?

«Sì, parlo di debiti. Però bisogna dire anche, con altrettanta fermezza, che c’è chi paga. Perché i debiti bisogna pagarli. Io sono preoccupato per l’indebitamento, perché vorrei aiutare i dirigenti, e mi dispiace che ci sia questa situazione. Ma non bisogna mai dimenticare che ci sono finanziamenti infruttiferi a favore delle proprietà, altrimenti non potrebbero partecipare. Come Federazione andiamo loro incontro, riduciamo i costi, vogliamo che ci sia una visione diversa nell’organizzazione e nella gestione dell’azienda che permetta a questi proprietari di essere più oculati e di immettere meno risorse all’interno del nostro mondo».

Il fatto di porre un freno alle plusvalenze potrebbe essere una via?

«Credo che ogni azienda debba fare plusvalenze, ma bisogna fare quelle giuste. Bisogna evitare le alchimie e puntare alle plusvalenze reali».

Perché in Inghilterra si va in campo a 16 anni? E in Italia si deve arrivare a 25? Gravina:

«Mentre in Inghilterra ci sono l’opportunità, la volontà e la pazienza d’investire sui giovani per farli diventare campioni, da noi si vuole il prodotto già pronto e finito. Non abbiamo la capacità di valorizzare i giovani perché non ci sono i vivai, non ci sono le infrastrutture. I talenti, però, ci sono. Le nazionali giovanili raggiungono sempre risultati di altissimo livello fino all’Under 21 (solo quest’anno abbiamo vinto il Campionato europeo Under 19 e abbiamo conquistato l’argento al Mondiale Under 20). Poi i talenti scompaiono. Faremo una ricerca per capire, tra tutti questi talenti delle nostre giovanili, quanti in realtà arrivino in nazionale. Abbiamo circa 833 mila ragazzi del settore giovanile scolastico, quindi circa il 20 per cento della popolazione italiana tra i 5 e i 15 anni è tesserata con noi. Di questi, 400 mila fanno i tornei. Uno su cinquemila diventa professionista, uno su 35 mila arriva in nazionale. Tradotto: se prendi il biglietto alla lotteria, hai più probabilità di vincere. Quello che manca al nostro talento è la fantasia, oscurata da un tatticismo esasperato. Anche alle famiglie dovremmo far capire che è importante che i bambini giochino e si divertano».

I detrattori hanno chiesto le dimissioni di Gravina. Gli viene chiesto se si sente sulla graticola.

«No, assolutamente. Ascolto volentieri i consigli delle persone che sono in buona fede ed è chiaro che il fatto di legare un’attività politica a un risultato sportivo la dice lunga su alcune scelte. Credo molto nei principi della democrazia. Se il mio consiglio federale e se la base elettorale non dovessero avere fiducia nella mia attività politica, andrei via immediatamente. Ma non sono i detrattori che votano e io continuo a lavorare per il bene del calcio italiano. Io devo rispondere alla gente che continua a darmi fiducia, che crede in quello che stiamo facendo. Quando verrà meno questa fiducia, andrò via. Ma fino a quando questa fiducia ci sarà, io andrò avanti per la mia strada».

Gravina continua:

«Proviamo a ipotizzare uno scenario in cui io me ne vada via domani mattina: siamo alla scadenza di un mandato, perché fra un anno e qualche mese si vota. Attualmente la Figc è presente nella giunta del Coni, dove non entrava da tempo, è anche nel comitato esecutivo della Uefa, dove ricopro la carica di vicepresidente, ed è impegnata in una progettualità legata all’organizzazione di Euro 2032. Se mi dimettessi, farei un disastro sotto questo profilo. Quindi, mi chiedo: è un atto di responsabilità? Ha senso?». 

 

 

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