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Jorit e l’arte figlia di un infantilismo culturale che tritura ogni complessità

All’estero si parla di lui per l’abietto murale di Mariupol, qui è sempre un capolavoro ed è sempre una gigantografia. Non a caso

Jorit e l’arte figlia di un infantilismo culturale che tritura ogni complessità
A mural depicting Russian writer Fyodor Mikhailovich Dostoevsky made by Italian artist Jorit is seen on the facade of the Augusto Righi Technical Institute on the day of the inauguration in the Fuorigrotta district of Naples, southern Italy, on April 5, 2022. University of Milano-Bicocca had considered suspending a course on Dostoevsky following the war between Russia and Ukraine and the artist Jorit decided to to paint a portrait of the Russian writer as he had quickly become a symbol of freedom of expression. (Photo by Eliano Imperato / Controluce via AFP)

Ci sono tali e tante domande che sorgono alla notizia dell’ultimo lavoro di Jorit – anzi “capolavoro”, come precisano già diversi osservatori, poiché pare che allo street-artist venga commissionato esclusivamente quanto possegga l’immediato status di opera d’arte. Le domande, si diceva, sono così numerose ed evidenti da provocare sentimenti a metà strada tra profondo imbarazzo e dolorosa ironia, quella claudicante via di mezzo che purtroppo spesso fa capolino dalle parti in cui sono nato. 

L’ultima incarnazione della fantasia di Ciro Cerullo è quella che si chiamerebbe una rimasterizzazione dei propri greatest hits, nel contesto di una sorta di suo ideale presepe vivente che egli ha sviluppato negli anni della sua ricerca artistica. Stavolta i pastori sono Maradona-Daniele-Troisi, in questo ordine discendente lungo un asse verticale, uniti immancabilmente dalle due righe sul viso a rappresentare una ideale linea di sughero, muschio e enteroclismi da dietro necessari a dar vita alla propria teorica natività dei sogni.

La banalità dei temi che egli presume di trattare e la ancor più discutibile capacità di trattarli renderebbe la discussione su Jorit del tutto irrilevante se questa escalation di marco-ritratti appiccicati ai muri, ormai in ogni quartiere della città, non lasciasse sorgere qualche inevitabile quesito enigmistico. Il primo riguarda l’effettivo valore culturale di una gigantografia. Quali sono stati, storicamente, e quali sono ancor oggi i paesi, i governi, i committenti che prediligono le gigantografie? Chi può solo immaginare che il non-detto di Troisi sia compatibile con l’eventualità di ritrovarselo di fronte come una Torre Eiffel illuminata a decine di metri di distanza? 

La a-normalità delle dimensioni di un ritratto serve a dettare una linea, a decretare la assoluta giustezza di una istanza e proiettarla in un’unica ed infallibile dimensione. Serve, dunque, a escludere – come fa ogni progetto identitario che, di fatti, universale non è mai. Forse anche il motivo per cui l’opera dello street-artist napoletano è sostanzialmente ignota al di fuori dei confini regionali, se non in nicchie in cui questa cosiddetta appartenenza identitaria viene riconosciuta dai propri adepti.

Quando a commissionare le opere sono gli enti pubblici, questa lavoro di scrutinio andrebbe completato in modo assai più meticoloso. Nel duemila ventitré, la maxifoto di Dostoevskij con la scritta che invoca la pace ha la stessa ambizione culturale della gondola con la bolla di vetro di Murano ed è figlia di un infantilismo culturale, assai generalizzato, che tende a triturare ogni complessità in un polpettone mostruosamente banale, utile alla ricerca di migliaia di seguaci. Appiccicare questa cosa su un istituto tecnico è un ottimo programma per il Ministero dell’Istruzione (e del Merito).

In ultimo, ci sarebbe da chiedersi quale beneficio porti, alla città, l’opera di un signore che, qualche settimana fa, è stato a Mariupol, città sotto occupazione violenta, martoriata dall’invasione russa e che conta ad oggi decine di migliaia di morti, per completare un’altra opera che ha fatto un piccolo giro del mondo sui quotidiani stranieri per il livello di abiezione da essa raggiunto. 

Un giro, tuttavia, piccolo piccolo piccolo – questa è, almeno, una ironicamente piccola buona notizia. Piccolo almeno quanto microscopico è il mondo dei cosiddetti artisti di casa nostra che vitto e alloggio sicuri non li hanno mai abbandonati.

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