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La sottovalutata moglie di Zielinski ci spiega perché l’Arabia Saudita non andrà da nessuna parte

Un luogo che disprezza i diritti non sarà mai una nuova capitale del calcio. I diritti hanno un valore economico ignoto solo ai dirigenti del pallone

La sottovalutata moglie di Zielinski ci spiega perché l’Arabia Saudita non andrà da nessuna parte

Alla legittima domanda se la vicenda Gabri Veiga – e non solo quella – ci stia dischiudendo l’alba di un nuovo mondo del calcio con sede a Riad, vorrei contribuire con qualche considerazione che, in un tempo come il nostro in cui Oppenheimer è assurto a nuovo eroe pop, sintetizzerei nel nuovo effetto Slowiak-Gaiola, coniato in onore della moglie del centrocampista azzurro – secondo qualche voce mostratasi perplessa all’idea del passaggio di Zielinski ad una squadra saudita – e della fatidica e mirabile spiaggia posillipina.

In questo effetto è racchiuso il tema, gigante ma assai poco dibattuto, della qualità di vita. La capacità di una realtà economica di attrarre talento è sempre vincolata al livello dell’esistenza che un professionista e la sua rete di affetti potranno condurre in quel luogo. In genere, salario offerto e qualità di vita possono essere inversamente proporzionali – è il motivo per cui di tanto in tanto si vedono girare laute offerte di lavoro per tecnici specializzati su piattaforme petrolifere disperse in qualche mare. Ma esistono barriere sostanzialmente insormontabili che rendono alcuni luoghi destinati a rimanere fuori un mercato del lavoro necessario a costruire una seria tendenza economica.

L’Arabia Saudita, al netto dei magnifici selfie e progressivi di qualche personaggio noto, è un luogo in cui si vive in una realtà sociale brutalmente primitiva. Tanto per dirne qualcuna, alle donne è stato concesso di lavorare qualche anno fa, essere omosessuali è un reato punito con la morte ed è criminale, in generale, una qualunque condotta sessuale che definiremmo libera: orientamenti sessuali, così come basilari libertà religiose, sono semplicemente non riconosciuti. I diritti hanno un valore economico, oltre che sociale, ben noto ai dirigenti di pressoché ogni realtà produttiva internazionale, che tuttavia risulta pressoché sconosciuto ai manager del calcio mondiale – cosa tra l’altro coerente con la generale impreparazione e la larga mediocrità di questi ultimi. C’è da ritenere non improbabile che la signora Slowiak, libera modella del ventunesimo secolo, possa essersi posta qualche domanda circa il tipo di vita che una donna polacca, abituata a usufruire delle libertà garantite in Europa e con facile accesso ai lidi posillipini, potrà condurre in una nazione in cui avere alcune donne al volante venga decantato come un grande passo avanti per la modernizzazione di un paese in cui si pratica la crocifissione e, per diversi mesi all’anno, è impossibile anche solo uscire di casa per le temperature proibitive.

Se non ci limitiamo a ragionare come dei cinghiali laureati in matematica pura, come avrebbe detto qualcuno importante, dobbiamo fare i conti con il fatto che i calciatori, le calciatrici, le loro vite sentimentali, le loro preferenze sessuali, il loro desiderio di vivere, i loro sogni devono potersi realizzare nei luoghi in cui vivono e che questa ambizione non è garantita dal celebre ingaggio faraonico. A non vederlo sono solo i grandi dirigenti del calcio, la cui miopia è nota ed è dovuta a una ancestrale ignoranza che si dispiega di fronte a noi, giorno dopo giorno, con cristallina e devastante evidenza. Pensare che Infantino e Al Qahtani siano alla testa di uno stravolgimento storico è lecito ma potrebbe essere un atto di rara audacia. Un luogo che disprezza i diritti come l’Arabia Saudita non sarà mai una nuova capitale del calcio, almeno fino a quando non verrà garantita una qualità di vita paragonabile a quella dei paesi oggi all’avanguardia in questo sport, non solo ai calciatori ma anche ai tifosi. Il calcio, infatti, rimane tale se c’è chi compra il prodotto e difficilmente chi lo acquista rinuncerà a farsi una birra ed incombere nel pericolo di ricevere 360 frustrate, come previsto dalla nobilissima sharia.

Il sopra menzionato effetto Slowiak-Gaiola diverrà sempre più attuale in un mondo in cui esistono blocchi economici e culturali che sono in aperto conflitto, forse ancor di più per giocatori in aree dell’Europa orientale in cui la compressione dei diritti sotto i regimi sovietici ha lasciato molte ferite. Semmai la debolezza europea, i famosi anelli che non tengono, potrebbero essere gli stessi europei che si siedono dietro la tastiera e ci tengono a tediare l’universo mondo facendoci sapere che l’Occidente (o gli Occidenti, come scrive in un ottimo e consigliato libro il professor Graziosi) è il peggiore dei mondi possibili. Continuerà ad essere la realtà – pallone, spalti, sesso e birre compresi – a ribadire il contrario.

Infine, per questi anelli deboli vale anche la pena chiarire che l’effetto Slowiak-Gaiola spiega la monetizzazione dei diritti e la capacità di attrarre talenti propria di zone cui la geografia e le latitudini hanno concesso grande fortuna, ma nulla ha a che vedere con eventuali orgogli di essere napoletani con soli e mandolini neoborbonici a corredo. Quello è l’effetto Palomma-Palò di No grazie il caffè mi rende nervoso, ne parleremo un’altra volta.

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