A El Pais: «Sapevo che il Barça che non sarebbe stato il Bayern, ero interessato all’adattamento in un nuovo club e volevo vivere e giocare in Spagna»

Robert Lewandowski ha concesso un’intervista a El Pais. L’attaccante del Barcellona è il giocatore simbolo di una società gravata dai problemi finanziari. Lewandowski lo sa e non gli pesa, il suo dovere e fare gol. Quando ha firmato per il Barça si trovava in un Bayern Monaco praticamente perfetto. Forse si immaginava di indossare la maglia blaugrana insieme alle stelle che hanno fatto grande il club catalano:
«Quando ero al Bayern e si è parlato della possibilità che firmassi per il Barcellona. Ero in un club che è perfetto finanziariamente e dove ero a mio agio. Avevo tutto. Quindi arrivare al Barça è stata una sfida, indipendentemente dalla tua situazione economica. Sapevo che non sarebbe stato lo stesso come al Bayern e che probabilmente non avrei segnato così tanti gol, ma ero interessato a vivere quel processo di adattamento a un nuovo club. Volevo imparare da queste nuove situazioni. Il calcio non è la mia vita, ne fa parte. E tutto questo apprendimento mi servirà per il resto della mia vita. È importante tenere a mente che il Barcellona è una grande supersquadra e il mio sogno era anche quello di vivere in Spagna e giocare nella Liga».
Oggi però la Liga non ha lo stesso appeal di qualche anno fa:
«La Liga ha le sue regole e preferisco non analizzarle. Ma, alla fine, il campionato ha Madrid e Barça. E anche se hanno problemi economici o non possono spendere tanti soldi come in passato, continuano ad essere Madrid e Barça».
Lewandowski nasce portiere:
«Ho quel passato, sarei rimasto in area in attesa della palla. Una volta ho trascorso 90 minuti senza toccare la palla e poi ho segnato nel 92°. Ho capito che giocare così non mi rendeva felice. Non me la stavo godendo. Fu allora che pensai che dovevo cambiare, che dovevo essere coinvolto nella costruzione del gioco. Più sono a contatto con la palla, più sono in zona. Questi sono piccoli dettagli che cambiano un gioco per te. Succede a noi centravanti e portieri. Sono due posizioni che hanno un comportamento individuale all’interno del collettivo».
Il polacco ha avuto i migliori allenatori. Klopp, Guardiola, Ancelotti, Nagelsmann e Xavi:
«Klopp è fantastico. Capisce perfettamente quando essere un padre con il giocatore e quando essere esigente sul campo. Guardiola a livello tattico è un altro mondo, ti dà il 100% e chiede il 100%. Mi ha aiutato a posizionarmi quando la palla arrivava in area. Tuttavia, mi ha sempre detto che, una volta che la palla era in area, non poteva più aiutarmi. “In area ne sai più di me” mi diceva. Ancelotti mi ha dato molta fiducia. Ha usato le parole giuste per risvegliare le cose dentro di me che mi hanno aiutato a progredire. Nagelsmann non ho mai pensato che fosse più giovane di me. Ha una grande conoscenza del gioco. A volte il calcio è difficile da capire. Hai i giocatori, hai un piano di gioco e tuttavia non funziona. Questo è il bello, non puoi spiegare tutto».