Sorride e calcia da lontano, svaria, si accentra vede la porta. Insegua il pallone per dare gioia più che per addomesticarlo.
Jesper Lindstrøm è un calciatore del Napoli. Il suo cognome, di origini svedesi, vuol dire letteralmente “flusso di tiglio”, l’albero considerato sacro perché combatte l’invecchiamento. La pianta che prende il nome da Ptilon che vuole dire ala, il ruolo che Jesper può ricoprire senza alcun problema. Leggero, come il legno del tiglio, con il quale si costruiscono chitarre, il danese è la musica nuova nel coerente concerto del Napoli calcio.
Giovane, forte, tecnico, internazionale, capace. A vederlo giocare, pare che insegua il pallone per dargli gioia più che addomesticarlo. Destro, sinistro, dribbling e assist, miglior esordiente alla sua prima esperienza in Bundesliga. Lui ride, ride sempre. Sorride e calcia da lontano, svaria, si accentra vede la porta. Sembra il gemello di Kvaratskhelia anche se predilige la trequarti più che l’estrema fascia. Con il georgiano condivide la capacità di anticipo nell’uno contro uno, la lettura dei vantaggi offensivi e la semplicità nel fornire assist ai compagni oltre alla forza nello strappo palla a piede.
È nato il 29 febbraio del 2000, lo stesso giorno di Ferran Torres, di martedì come il giorno fissato per le visite mediche con il Napoli, a Roma. È danese, del comune di Høje-Taastrup di cinquantamila abitanti, ha vinto un campionato danese con il Brøndby e una Europa League con l’Eintracht Francoforte.
Ama il mare, appassionato di e-games, durante il lockdown si distinse in un torneo con altri venti calciatori danesi, joypad alla mano. Ora nel Napoli, per essere subito protagonista in un tridente da brividi con Kvara ed Osimhen. Jesper Lindstrom, per dirla come un quadro, è un cavallo al galoppo di Edward Munch.