A Esn Talks: «Essere il miglior portiere del mondo per un anno è facile, ma esserlo per anni no. Ecco perché bisogna lavorare molto mentalmente. Non arrendersi mai»

In una simpatica chiacchierata con il rapper francese Ninho, per Esn Talks, il portiere del Milan, Mike Maignan si racconta. Dagli inizi, quando era un bambino piuttosto vivace a quando il Paris Saint Germain lo teneva sott’occhio. La voglia di giocare in attacco e l’esigenza di finire in porta.
In ogni cosa che racconta, Mike Maignan dimostra ancora una volta la sua mentalità da vincente. Vuole sempre primeggiare, oltre a fare quello che più lo diverte:
«Volevo fare l’attaccante! O comunque un giocatore di movimento. Poi ho iniziato a fare il portiere, ma non volevo farlo. Era noioso. Guardi gli altri giocare, non ti diverti e ti arrabbi. Poi sono andato al Clairefontaine con un allenatore che mi ha detto: ‘Se arrivi all’ultimo turno, rimani in porta’. Sono arrivato all’ultimo turno, ed è andata così. A quei tempi c’era già il Psg su di me».
Da bambino creava diversi grattacapi a scuola, poi quando è arrivato al Psg ha capito che l’educazione imparata a casa doveva continuare anche fuori le mura domestiche. Da lì il lavoro sulla propria mente, anche e soprattutto per essere il migliore:
«Essere il miglior portiere del mondo per un anno è facile, ma esserlo per diversi anni no. Ecco perché bisogna lavorare molto mentalmente. Non arrendersi mai. Non importa quanti milioni guadagni o quanto sei famoso, devi continuare a lavorare. Ogni giorno lavoro tre volte tanto sui dettagli. Ad esempio, mi chiedo. ‘Perché ho fermato la palla?’. ‘Perché non avevo il piede sulla palla in quel momento?’. Cose di questo tipo. Mi sveglio ogni mattina per essere il migliore. E i miei compagni sono come me».
Ormai Maignan è un perfezionista. Non accetta la sconfitta che pure nella vita è inevitabile e quando succede prova ad analizzare i propri errori:
«La mia squadra deve vincere. Se non lo fa, è un problema. E’ così che penso di poter mantenere il mio livello. Nelle partite in cui possiamo perdere 2-1, prendo due gol e non posso fare nulla. Ma penso nella mia testa cosa avrei potuto fare. Osservo ogni dettaglio. E soprattutto ogni errore che faccio. C’è stata una stagione in cui ho fatto male, mi avevano fatto fuori per sei mesi. Da allora penso questo: ‘Volete vedermi fallire, vero?’. Ma io non fallirò mai. Ciò significa che quando fallirò, sarà la fine. Quindi vado avanti».