Mazzone così lontano dagli allenatori ben pettinati che parlano per non dire niente (Crosetti)
Su Repubblica: Come un padre, si faceva capire anche tacendo. Smise di allenare perché dopo i settanta non poteva guidare di notte
2005 archivio Image Sport / Calcio / Bologna / Carlo Mazzone / foto Andrea Rigano/Image Sport
Carlo Mazzone, il ricordo di Maurizio Crosetti per Repubblica.
Diciamo dunque addio a uno degli ultimi padri fondatori dell’amore magistrale, socratico, su un campo di calcio. Uno come il Trap, come Radice e Bearzot, Vicini e Liedholm, Bagnoli e Boskov, Mondonico e Ranieri, e potremmo continuare. L’allenatore al quale si dava del lei e che non era quasi mai coetaneo dei calciatori, come a volte accade oggi, non era una star, non replicava colleghi tutti uguali, a modino, plastificati, ben pettinati, assai ben stipendiati, abili nel parlare molto per dire niente. L’esatto contrario degli aforismi fulminanti di Carletto. Averne ancora? Magara.
Come un padre, questo tipo di allenatore sapeva dire e si faceva capire anche tacendo, fossero tattica o sesso o destini da rincorrere. Non è un caso che il suo territorio fosse la provincia. Mazzone ha vissuto ad Ascoli, e smise di allenare perché dopo i settanta non poteva tornare a casa in macchina tutte le domeniche di notte. Il senso della piccola patria come motivo fondante di tanto orgoglio: «Sono felice di aver fatto parlare della città di Ascoli in tutt’Italia». Una geografia di periferie che rappresentano invece il cuore pulsante più vivo del nostro Paese.
di Massimiliano Gallo - Nell'80-81, con Juve e Roma (l'anno del gol di Turone). Oggi, 44 anni fa, Napoli-Perugia 0-1: la fine del sogno. Una squadra normale con Krol extraterrestre
Alla Gazzetta: «Quando Altobelli segnò contro il Napoli tutti corsero ad abbracciare papà. Nel calcio di oggi io una squadra intera che va ad abbracciare un allenatore, non la vedo».
Il capitano dello scudetto alla Gazzetta: «Vialli, prima di morire, ha detto che Dossena e io eravamo le voci fuori dal coro. Ce ne andammo dopo lo scudetto»
A La Stampa: «Gli argentini erano cattivi, Gallego affondava la sua unghia lunghissima nel collo di Pablito. Finsi un infortunio per guardare il Mondiale di ciclismo ma Trapattoni se ne accorse»