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Mourinho: «In Italia non mi sento più a mio agio, mi sono sentito aggredito dalle istituzioni»

Al CorSport: «Su Chiffi ho detto le stesse cose di Modric su Orsato, mi hanno messo alla gogna. Ho paura di ricevere altre squalifiche».

Mourinho: «In Italia non mi sento più a mio agio, mi sono sentito aggredito dalle istituzioni»
As Roma 04/06/2023 - campionato di calcio serie A / Roma-Spezia / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Jose' Mourinho

Ivan Zazzaroni intervista José Mourinho per il Corriere dello Sport. Un’intervista chilometrica, quella all’allenatore della Roma, con decine di temi trattati. A partire dal motivo per cui ha accettato l’incarico alla Roma. Mourinho parla dei Friedkin, del primo incontro con gli americani proprietari del club: «mi piacquero molto». Gli mostrarono grande fiducia, fu questo a colpirlo.

«Trasmisero il loro entusiasmo, mi piacque la prospettiva di un progetto diverso, tre anni di contratto, una crescita progressiva, qualcosa che in precedenza non avevo mai preso in considerazione».

Mourinho spiega:

«Prima volevo e dovevo arrivare, fare, spostarmi, vivevo uno stato di costante irrequietezza. Ero in un posto, facevo il mio lavoro, vincevo e mi spingevo oltre, volevo andare a vincere da un’altra parte».

Certo, con i paletti del Financial Fair Play e i limiti conseguenti sul mercato, ha rischiato parecchio accettando la sfida, ma Mourinho dice che sapeva perfettamente cosa stava facendo.

«Quando ho firmato con la Roma sapevo perfettamente a cosa andavo incontro».

E non si è pentito.

«Se adesso mi domandi se sono pentito della scelta, rispondo di no. Assolutamente no».

Tuttavia non nasconde di aver vissuto anche momenti di frustrazione.

«Frustrazione sì, momenti di frustrazione».

Il mercato ristretto, dice, «non è una mia preoccupazione». E aggiunge: «A volte leggo che Mourinho sta provocando la società, che Mourinho è un mago della comunicazione». Si riferisce alla foto pubblicata su Instagram, in cui si mostra mentre abbraccia un attaccante immaginario. Spiega: «Non c’è stato alcun retropensiero. La foto con l’attaccante immaginario è stata fatta per ridere».

Mourinho continua:

«Non va tutto bene, ma mi diverto anche nelle difficoltà. Mi arrabbio per un’ora e subito dopo torno positivo. Non mi deprimo, non minaccio, non dico che mi hanno promesso mari e monti e non vedo né i mari né i monti. Una cosa che non posso cambiare è la mia natura, non sono uno che racconta cazzate. Relativamente all’attaccante immaginario, posso dirti che anche se la settimana prossima arrivasse Mbappé sarebbe comunque in ritardo».

Nessuna guerra con la società, insomma.

«Dopo la partenza, tra virgolette, di Tammy, siamo in una situazione che nessun allenatore al mondo gradirebbe. Mi riesce impossibile dire che sono contento. Però sostenere che sono in guerra aperta con la società, con Pinto, che non sono felice, è sbagliatissimo. Pinto sa che siamo in ritardo, anche la proprietà lo sa, alla fine quello che soffre veramente è chi lavora e chi contro la Salernitana dovrà entrare in campo con la migliore squadra possibile. Incazzato no, depresso no (…). Vent’anni fa avrei fatto casino, vent’anni fa sarei stato incazzato».

Mourinho parla anche del rapporto con le istituzioni e con gli arbitri.

«Se facciamo Uefa di qua e Italia di là, mi sento molto meglio quando parlo di Uefa e meno di Italia. In Italia mi sono sentito aggredito, hanno violato la mia libertà di uomo, la mia libertà di uomo di calcio, la mia libertà non di grande allenatore, perché in queste situazioni non ci sono grandi o piccoli allenatori, siamo tutti uomini. Qui non mi sento più a mio agio. Ho paura di ricevere altre squalifiche, ho paura di dover tornare a sentire tutto quello che ho ascoltato o letto in questi due anni. Se mi dici José, parliamo di Budapest, ci sto. Però se mi chiedi di parlare di Italia, di sconfitte politiche, di opinioni espresse dalla gente e anche di offese ricevute, la cosa mi disturba. Ho detto paura, forse paura è eccessivo, fastidio è meglio. Penso che a livello istituzionale avrebbero dovuto trattarmi diversamente, da uomo di grande esperienza internazionale, uno che ha allenato in Inghilterra, in Spagna».

Sul rapporto conflittuale con gli arbitri:

«Ho detto di Chiffi le stesse cose che Modric ha detto di Orsato, esattamente le stesse. Sono innamorato di Modric, ma non sono d’accordo con lui quando dice che Orsato è un arbitro scarso. Orsato è bravissimo. Ho detto la mia su Chiffi e avete visto le conseguenze. Modric ha parlato dopo una semifinale del Mondiale ed è arrivato a miliardi di persone, io alla fine di Monza-Roma. L’ex pallone d’oro non ha subito squalifiche, io la gogna. Se vuoi parliamo di Budapest, che è certamente meglio».

E Budapest, dice, è stata una delle esperienze più belle della sua carriera, per il sostegno dei tifosi, la voglia della squadra, la passione respirata a Trigoria. Poi c’è stato l’arbitro Taylor. Nel tunnel, quando Mourinho gli ha detto «fuckin’ disgrace»,

Taylor non c’era.

«Taylor non era lì, non c’era. Taylor era rimasto dentro lo stadio e il giorno dopo l’hanno trovato all’aeroporto. C’erano gli altri, non Taylor, c’erano il quarto uomo, gli assistenti, Rosetti e Howard Hebb, il direttore tecnico degli arbitri della Premier. Taylor non c’era».

Hai pensato di lasciare la Roma, dopo Budapest? Mourinho:

«No. Ho sempre fatto il mio lavoro senza pensare al dopo».

Racconta cosa è successo dopo il fischio finale della partita.

«Finito tutto, rientriamo nello spogliatoio, scendiamo in garage e nel garage arriva il gruppo arbitrale. Con Webb ho un rapporto buono, come con Rosetti. Hanno entrambi arbitrato delle mie partite, Webb addirittura la finale di Champions con l’Inter a Madrid. So di non essere stato elegante, ma non ho insultato nessuno. ‘Fucking disgrace’ è molto simile all’italiano ‘cazzo!’, un’esclamazione, uno sfogo, o al portoghese ‘foda pra caralho’. Sono andato da Rosetti e gli ho detto: ‘arbitro, io lo chiamo così, è rigore o non è rigore?’. Rosetti ha fatto quello che di solito fanno gli arbitri, non mi ha risposto. Ho ripetuto la domanda a Webb, lui mi ha messo la mano sulla spalla e ha detto ‘José, sì, è rigore’. Webb ha fatto quello che mi sarebbe piaciuto avesse fatto Taylor. Perché se Taylor, o qualcuno al posto suo, dopo la partita fosse venuto da noi, nello spogliatoio del pianto, e avesse detto ‘ho sbagliato, abbiamo sbagliato, mi dispiace’, non solo sarebbe finita lì, ma lui avrebbe avuto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. Sbagliamo tutti, forse durante quella partita ho sbagliato anch’io. Continuo a pensare una cosa: Taylor è bravo, per non dire molto bravo, positivo anche il rapporto che ho avuto in Inghilterra, mi sembra un uomo perbene, io non ho mai messo in dubbio la sua onestà. L’unica cosa che dico e dirà sempre è che era rigore e con quel rigore lì la Roma avrebbe potuto vincere. Prima di quel rigore la sua direzione non mi era piaciuta per niente, non mi erano piaciute le sue scelte tecniche, disciplinari, però continuo a pensare che sia un arbitro bravissimo e se la prossima stagione lo riavremo, nessun problema, sono sincero».

Mourinho parla anche dell’aggressione dei tifosi della Roma a Taylor, il giorno dopo all’aeroporto.

«Io non ho nulla a che vedere con quell’incidente. È stata la reazione di un gruppo di tifosi, io non c’entro affatto. Con mia grande sorpresa, due giorni dopo mi è arrivato un messaggio di un amico dell’Uefa – in questi anni mi sono fatto amici ovunque, non solo nemici –. ‘Amico mio’, mi ha scritto, ‘tu sei un grande del calcio, però ti do un consiglio, censura pubblicamente il comportamento dei tifosi della Roma all’aeroporto, te lo dico perché ti sono amico’. La mia risposta è stata: se l’Uefa o Taylor chiedono scusa ai tifosi della Roma, io critico il comportamento all’aeroporto e chiedo scusa. Subito dopo sono andato al club e ho detto: da oggi e fino all’uscita della sanzione, che è già pronta, sarò io il focus di un arbitraggio triste e di un comportamento triste dei tifosi in aeroporto, oltre che del mio atteggiamento nel garage. Però adesso ho bisogno del vostro sostegno e di una comunicazione forte. Se mi chiedi quale sia stata in due anni e due mesi di Roma la cosa che mi ha fatto sentire più fragile, rispondo che non è stata la partenza di Mkhitaryan, aver perso un giocatore che mi piace tanto e aver giocato un anno e mezzo con solo 4 difensori centrali quando è normale averne 6. La cosa più triste è stata non essere appoggiato dalla società in una situazione del genere. Sconterò le 4 partite, non riesco a guardare l’Uefa in modo negativo, saranno quattro partite in cui mi sentirò un tifoso della Roma».

Sui Friedkin:

«La proprietà è la proprietà. Ho sempre rispettato la proprietà e le persone, al di là del ruolo. Sento che da parte loro c’è rispetto e tanta stima per l’allenatore. Il profilo del rapporto lo stabilisce sempre la proprietà. In tutti questi anni ho sempre ripetuto che vengo chiamato e pagato bene per risolvere problemi e non per crearli. È la proprietà che deve parlare di te ed è la proprietà che deve parlare con te».

Mourinho parla delle offerte ricevute in estate dall’Arabia Saudita.

«Al Hilal e Al Ahli. Ci ho pensato, sì. Prima di andare all’incontro ho informato la proprietà chiarendo che non avevo intenzione di accettare. A casa ho detto esattamente la stessa cosa. Per un lato mi sentivo prigioniero della parola data ai giocatori a Budapest e ai tifosi dopo lo Spezia, mimando la permanenza. Ma se mi chiedi se non ho accettato soltanto per questo motivo, rispondo di no, non solo per questo».

È un no definitivo?

«Non è definitivo, non lo è. In passato rifiutai la proposta più incredibile che un allenatore abbia mai ricevuto quando la Cina mi offrì la panchina della Nazionale e di un club nel quale avrebbero giocato tutti i nazionali. Una proposta economicamente indecente, fuori dal mondo e da tutti i parametri».

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