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Zoff: «A Buffon mancherà il profumo inebriante dell’erba, ha il sapore della libertà»

Al Giornale: «Ora potrà godersi la famiglia, io non ho fatto altrettanto. Soprattutto i miei genitori, non c’ero neppure quando sono morti»

Zoff: «A Buffon mancherà il profumo inebriante dell’erba, ha il sapore della libertà»
Db Pescara 11/10/2011 - qualificazione Euro 2012 / Italia-Irlanda del Nord / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dino Zoff

Ieri il ritiro di Gigi Buffon comunicato dalla stesso portiere sui propri social. Nel giro di pochi minuti, stampa, redazioni e social erano, giustamente, pieni di ricordi e ringraziamenti al campione del mondo con l’Italia nel 2006. Puntuale come un orologio svizzero anche il commento dell’idolo di Buffon, ovvero Dino Zoff. Questa mattina è stato raggiunto dal Giornale:

«Entrambi abbiamo vinto tanto. Siamo però di due generazioni diverse. Ognuno con stile e caratteri propri».

Infatti Buffon da bambino si allenava alla scuola-calcio, Zoff invece parava le prugne che gli tirava nonna Adelaide. Un coefficiente di difficoltà senz’altro superiore.

«Una scelta giusta (quella di Buffon). Come ho raccontato in un libro fatto di ricordi più umani che agonistici, la mia colpa più grande è stata di non aver fatto altrettanto con la mia. Soprattutto con i miei genitori. Avrei dovuto essere più presente. Loro con me c’erano sempre. Io no. Neppure quando sono morti. Ed è una responsabilità che ancora oggi mi fa star male»

Sulla sindrome del “non mollare mai”:

«Dire addio è sempre difficile. Bisogna centrare il momento giusto: né troppo presto, né troppo tardi. Altrimenti ti assalgono i rimpianti. Io non ne ho e non ne avrà neppure Gigi».

Secondo Zoff però uno c’è:

«Gli mancherà il profumo dell’erba. Sì, l’odore verde del prato. Il portiere lo respira a ogni tuffo. Inebriante. Prima voli, poi atterri lì. E ti resta il sapore della libertà».

Buffon e Zoff fanno parte della schiera dei portieri “antichi”, quelli per cui prima bisogna saper parare e poi saper giocare con i piedi:

«Io ancora oggi dico: “Quel portiere è bravo perché esce con coraggio, blocca la palla, ha un buon piazzamento, sa dirigere la difesa…” Il ruolo si è modificato. Ma la realtà rimane la stessa: se un portiere sbaglia, il pallone finisce in gol. La sua resta quindi la figura più determinante di una squadra».

 

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