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Il Napoli di Garcia è semplice, forse troppo

È fragile perché tatticamente limitato. Riesce a essere efficace in avanti solo quando gioca ad alta intensità. Se si abbassa il ritmo, sono dolori

Il Napoli di Garcia è semplice, forse troppo
Napoli's players celebrate after Sporting Braga's Malian defender #04 Sikou Niakate (DOWN) scored an own-goal during the UEFA Champions League 1st round day 1 group C football match between SC Braga and Napoli at the Municipal stadium of Braga on September 20, 2023. (Photo by MIGUEL RIOPA / AFP)

Un Napoli (sempre più) elementare

Il Napoli torna da Braga con tre punti che valgono molto, per l’andamento del girone di Champions. E quindi per la sua stagione. Allo stesso tempo, però, la sensazione che il risultato sia una delle poche note positive emerse in Portogallo. Forse l’unica, se guardiamo al secondo tempo. Ma per onor di cronaca – e di verità – va detto che il primo tempo della squadra di Garcia è stato positivo. O, quantomeno, i miglioramenti rispetto al nulla cosmico di Genova sono stati evidenti, nei primi 45 minuti di Braga. Ne parleremo.

Questi miglioramenti, però, sono stati cancellati da una ripresa di grande sofferenza, in cui si sono manifestati gli stessi problemi vissuti a Marassi e nel secondo tempo contro la Lazio. Problemi che si possono sintetizzare con questa frase: il Napoli di Garcia è una squadra tatticamente elementare per non dire scheletrica, con pochi strumenti a disposizione per gestire le partite. E per vincerle. Perché, in fondo è giusto ricordarlo, il Braga si è segnato da solo il punto dell’1-2. Per altro pochi istanti dopo aver trovato un meritato pareggio.

La cosa più inquietante, e parleremo anche di questo, è che Rudi Garcia ha risposto alla brutta prestazione di Genova in modo particolare. Anzi, il termine giusto è strano. Nel senso: piuttosto che lavorare su idee e meccanismi nuovi, che ampliassero le possibilità del Napoli, non importa se offensive o difensive, non importa se improntate al possesso o alla verticalità, ha reso il suo modello tattico ancora più semplice. Ancora più elementare.

Infine, altro problema: in Portogallo, Garcia ha ripescato un (buon) concetto del recente passato: la rotazione continua dei centrocampisti. È un altro segnale del fatto che l’allenatore francese non sia ancora riuscito a proporre e imporre delle cose nuove. O comunque sue. Non importa quali, non stiamo facendo un’apologia ontologica di un certo tipo di calcio. Il punto è che Garcia, finora, non ha aggiunto niente al menu tattico del Napoli. Anzi, ha finito per depauperarlo.

Il ritorno del 4-5-1 (e del pressing selettivo)

Fin dai primi istanti di partita, si è percepito un cambio di spaziature e di atteggiamento. Il Napoli, infatti, si è schierato subito con un 4-3-3 decisamente rigido, che si trasformava in un 4-5-1 puro in fase di non possesso. Rispetto alle prime gare della stagione, quindi, Garcia ha preferito rinunciare al pressing immediato di una delle due mezzali – finora il più utilizzato per questo lavoro è stato Zielinski – per avere maggior compattezza. E anche per permettere a Lobotka di essere il vero uomo-guida della pressione alta. È stato lo slovacco, infatti, a dettare – in prima persona, ma anche ai compagni – i movimenti ad aggredire i portatori di palla del Braga.

Nei primi due frame, il 4-5-1 del Napoli in fase di non possesso; sopra, Lobotka rompe la linea per venire a pressare alto.

Lobotka, però, non ha alzato sempre i ritmi e l’intensità della fase di non possesso. Di conseguenza, il Napoli è come se avesse difeso in modo misto, alternando cioè dei momenti di aggressività ad altri di compattezza. Quello portato dagli azzurri è stato un pressing selettivo, furioso, moderato o blando in base ai momenti della partita. E al modo con cui il Braga muoveva il pallone.

Nel 4-2-3-1 disegnato da Arthur Jorge, sono stati soprattutto José Fonte e Elmusrati a gestire la costruzione dal basso. Solo che l’hanno fatto in modo quasi sempre basico, a volte addirittura goffo, ed erano (solo) quelli i momenti in cui il Napoli alzava le linee – favorito anche dall’ingresso di Ostigard per Rrahmani. Quando invece il possesso del Braga non veniva sporcato da errori, riusciva a sopravanzare la pressione di Osimhen e/o a spostarsi sugli esterni, allora il Napoli tendeva a ritrarsi nella sua metà campo. A non esasperare la pressione.

Attivare il talento

Come anticipato, il Napoli ha disputato un primo tempo discreto. La scelta conservativa di Garcia è stata controbilanciata da una buona intensità di gioco. Lo dicono i numeri: fino al minuto 35′, la squadra azzurra ha messo insieme il 57% di possesso palla, 7 conclusioni verso la porta di Matheus, 10 duelli aerei vinti; persino Kvaratskhelia, che secondo un’analisi superficiale non avrebbe giocato bene, in realtà ha offerto una buona continuità creativa: 4 passaggi chiave e 3 dribbling riusciti per lui, sempre nel segmento che va dal primo al 35esimo minuto.

Il problema del Napoli di Garcia, se vogliamo, è proprio questo: i calciatori azzurri, anche quelli più forti, non riescono a essere decisivi in modo autosufficiente. Hanno bisogno, cioè, di essere “attivati” attraverso meccanismi tattici complessi – che poi in realtà è una caratteristica di tutti i calciatori moderni, anche i più grandi, basti pensare all’abisso che c’era, nel 2022, tra Lionel Messi a Parigi e lo stesso Messi con la maglia dell’Argentina. Per capire cosa intendiamo, basta guardare questo video in cui Kvara torna a essere Kvara. Perché è stato messo in condizioni di puntare il suo avversario con un po’ di spazio a disposizione, grazie al buon interscambio con Olivera.

È un’azione che nasce da un angolo, ma serve per mostrare che Kvara può ancora essere devastante: va solo trovato il modo per liberargli un po’ di campo.

I centrocampisti fluidi

Nel primo tempo, l’abbiamo già detto, gli azzurri hanno sopperito alla mancanza di questa sofisticatezza tattica con una buona insistenza nell’aggredire il Braga, nascondergli il pallone, muoverlo con qualità, con velocità. In questo senso, la scelta di rendere più fluido il centrocampo è stata funzionale: sempre guardando al primo tempo, Lobotka e Anguissa si sono mossi in molte direzioni per poter lavorare il pallone – non sempre in modo preciso – e per far salire la squadra in modo armonico; Zielinski ha svariato più spesso sul centro-sinistra, cercando di associarsi con Kvara e Oliveira. E proprio da qui, giusto per tornare un attimo al concetto precedente, sono nate le azioni migliori del fantasista georgiano. Che evidentemente non è ancora brillante, come confermato anche da Garcia nel postpartita, ma resta un esterno che ha bisogno di supporto per poter essere determinante. Anche nelle sue giocate individuali.

In alto, tutti i palloni giocati da Anguissa nel primo tempo; sopra, quelli di Lobotka.

Tutto questo ha prodotto un primo tempo di discreta qualità, da parte del Napoli. Il conto delle occasioni dice che la squadra di Garcia ha colpito 2 volte il palo, ha tirato 5 volte nello specchio di cui 4 dall’interno dell’area di rigore. Solo la scarsa precisione mista a sfortuna dei tiri finiti sul palo ha impedito agli azzurri di andare in vantaggio prima del gol di Di Lorenzo. Il Braga, però, non è rimasto a guardare. Non a caso, viene da dire, ha messo insieme 7 conclusioni verso la porta di Meret. E alcune di queste sono state davvero pericolose.

Ora ve la spieghiamo

Ecco, in questa azione si spiega perché Garcia, che non è certo stupido, abbia deciso di rendere meno aggressivo il pressing della sua squadra: un’uscita troppo alta di Anguissa, a coprire Kvara che a sua volta era andato ad affiancarsi a Osimhen, determina un buco sull’esterno che per Juan Jesus si rivela letale. In casi come questi è immediato andare con la mente a Kim Min-jae, a un difensore che avrebbe avuto un impeto e un impatto diversi in questa copertura. Ma è vero pure che l’intervento goffo di Juan Jesus nasce da un evidente scompenso tattico: perché il Napoli perda distanze e diventi inefficace nelle marcature preventive, è bastato che Lobotka uscisse per una volta in modo avventato. E allora, torniamo al punto di prima, Garcia ha deciso di limitare queste situazioni. Con uno schieramento e dei meccanismi difensivi più bloccati, quindi più semplici.

Una ripresa di pura sofferenza

Il punto è che questo smottamento all’indietro ha impedito al Napoli di dominare la partita tenendo un baricentro alto, una condizione fondamentale per poter gestire bene il pallone senza correre rischi. Nella ripresa, poi, la sensazione di pericolo costante si è acuita anche in virtù di un inevitabile calo fisico da parte degli azzurri. Che, per dirla in parole povere, non sono più riusciti a giocare in modo intenso, come fatto nel primo tempo, e allora si sono scoperchiati di nuovo tutti i limiti tattici del modello di Garcia.

Agli azzurri non sono mancate le occasioni, ma solo perché il Braga – va detto – è una squadra davvero modesta, soprattutto nella gestione delle transizioni negative. Basti pensare che, statistiche alla mano, l’unico tiro in porta degli azzurri in tutta la ripresa è quello scoccato da Anguissa al minuto 46. E stiamo parlando di un colpo di testa su calcio piazzato. Certo, vanno segnalati anche il tocco fuori misura di Zielinski – una via di mezzo tra un assist e un tiro su cross delizioso di Di Lorenzo – e un tiro da fuori area di Osimhen, deviato in angolo.

Ma la produzione del Napoli nei secondi 45′ di gioco, contro lo Sporting Braga, si è fermata qui. È evidente che si sia trattato di una produzione sporadica, per non dire casuale. E che, tra l’altro, non è andata oltre il minuto 72. Sì, avete letto bene: il Napoli, autogol a parte, non ha costruito una sola occasione pulita per gli ultimi 25 minuti di partita. I dati, in questo senso, sono eloquenti. Tutti gli indicatori della ripresa sono favorevoli al Braga, a parte i tiri complessivi (10-10): possesso palla al 56%, dribbling riusciti 7-1, contrasti vinti 14-6. E ne omettiamo altri per motivi di spazio, oltreché per non risultare tediosi.

Un progressivo smottamento all’indietro

Come si vede chiaramente da queste immagini, nella ripresa il Napoli non ha fatto altro che mettersi in posizione d’attesa. E di sofferenza. Per carità, non si tratta di un reato o di una cosa calcisticamente scorretta. Ma bisogna saperlo fare. Il Napoli, per caratteristiche dei giocatori – anche di chi è subentrato dalla panchina, cioè Elmas e Raspadori – è una squadra che deve proporre calcio. Questo non vuol dire per forza possesso palla esasperato, vuol dire qualcosa. Anche perché basta rivedere il gol del Braga, arrivato all’apice di un buon forcing da parte della squadra di casa, per capire che il Napoli non può difendersi in questo modo.

Quando il Braga inizia l’azione da dietro, Elmas è retrocesso fino a formare una difesa a cinque. Ma è servito a poco. Nel senso che non serve a niente, se non sei allenato a fare questo genere di cose.

Elmas quinto di sinistra in difesa, Ostigard che perde palla, Juan Jesus che prima esce troppo in alto e poi si perde completamente la marcatura di Bruma. Sono tutti errori commessi da calciatori che, fino a qualche mese fa, potevano appoggiarsi a dei meccanismi con cui gestire – molto spesso anche dominare – le partite. Oggi, invece, sono chiamati a un calcio elementare che non sono in grado di sostenere. Perché, semplicemente, sono di un’altra pasta. Non migliore o peggiore: diversa.

Il calcio di Garcia, è evidente, è fatto di posizioni, di compiti e di coperture semplici. E non è corroborato da un certo numero di idee da attuare in fase di uscita da dietro, di possesso palla, di giochi offensivi. La conferma di tutto questo va ricercata nella mossa finale del tecnico francese, ovvero l’inserimento di un terzo difensore centrale – con annesso passaggio alla linea a sei, visto che Natan è entrato al posto di Zielinski – di ruolo per proteggere il risultato.

La liceità di questa scelta non è in discussione, e Garcia ha fatto benissimo a difenderla nelle interviste postpartita. Ma è il sintomo di un progetto tattico che, almeno fino a questo momento, non ha aderito per niente al Napoli. Al patrimonio tecnico del Napoli. A un passato che, per scelta della società, ne determina anche il presente. Anzi, proprio in virtù del fatto che parliamo di una squadra che ha dimostrato sul campo – vincendo, per altro – di essere di alta qualità, e che è stata costruita in nome della continuità, è francamente inaccettabile vedere prestazioni così povere dopo un’estate intera di preparazione e cinque gare ufficiali. E non perché il Napoli abbia chiuso la partita in casa del Braga con sei difensori, ma per la sequenza di fatti e decisioni che hanno determinato questa scelta tattica.

Conclusioni

Il problema, insomma, è che il Napoli 2023/24 è fragile perché tatticamente limitato. Riesce a essere efficace in avanti, ma in ogni caso mai pienamente sicuro di sé in fase difensiva, solo quando gioca ad alta intensità. Se non è intensa, e pare non possa (ancora?) esserlo per più di 65-70 minuti per match, quella di Garcia diventa una squadra semplicissima da limitare, da contenere, mentre resta facilmente attaccabile. Ci sono i numeri, le evidenze tecnico-tattiche, a dimostrarlo: prima Napoli-Lazio, poi la partita di Genova e infine quella contro il Braga. Tre indizi, di solito, fanno una prova.

Ora sarà interessante – anzi: determinante – capire se questa intensità a intermittenza potrà diventare meno intermittente nelle prossime partite. Dipenderà sicuramente dalla condizione fisica dei calciatori, in fondo siamo ancora a inizio stagione, ci sta che siano ancora un po’ appannati. Il punto, però, è che tutto ciò che Garcia ha fatto – e ha detto – finora condanna il Napoli a sperare solo in questo tipo di crescita. Lo dice il fatto che finora non si siano visti non tanto dei miglioramenti, ma proprio dei cambiamenti ascrivibili al tecnico francese.

La strada intrapresa dal Napoli, almeno fino a nuovo ordine, è quella di proporre un calcio con connessioni semplici e limitate, una fase difensiva poco sofisticata e aggressiva solo in alcuni casi. In un contesto del genere, saranno – sempre e solo – la qualità e la condizione dei singoli a determinare il risultato. Basterà al Napoli per vincere un certo numero di partite e raggiungere gli obiettivi che si è prefisso? A Braga sì, è bastato. E non è un caso. A Genova e contro la Lazio invece no, e anche questo non è stato un caso.

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