Al Corsera: «le etichette mi gonfiano come la ribollita di mia madre. Ti vogliono sempre o in un modo o in un altro. O bella o colta. O zozza o immacolata»
Il Corriere della Sera intervista Chiara Francini.
Per chi ha votato alle ultime elezioni?
«Nemmeno sotto tortura lo dirò».
Un indizio?
«Piero Calamandrei, nel 1955, parlando ai giovani disse che la libertà va toccata, non è una cosa astratta, che la politica va fatta con le azioni. Io faccio politica appoggiando questa o quella causa. Sono vicina al movimento Lgbtqi+, difendo ogni tipo di libertà. Se proprio devo dirlo, il colore che mi rappresenta è un insieme di colori, diciamo pure un arcobaleno».
Eccola!
«Eh, ma mica ci voleva tanto a capirlo».
No, perché lei con quella storia dei «sinistri» ha messo in subbuglio il Paese.
«Ma non capisco perché ogni volta che apro bocca si apre un caso nazionale. Secondo me la Treccani mi assumerà come inventrice di nuove parole. Dunque, chiariamo: io — come tra l’altro scrivo nel libro — a Cartabianca ho fatto distinzione tra sinistri, mancini e poveri paghi. I sinistri sono i ricchi di famiglia che vorrebbero essere nati poveri per essere considerati intelligenti. I mancini sono gli arricchiti che se ne fregano della cultura. I poveri paghi sono quelli come mio padre, i migliori: consapevoli delle proprie condizioni ma che godono di un cappotto nuovo e che non sprecano nulla. Ora, una come me che è cresciuta nel contado a colpi di sacrifici, che ancora oggi usa con parsimonia lo scopino del bagno per non sporcarlo e non consumarlo, come può essere trattata dai sinistri e dai mancini?».
Nel suo libro lei scrive che i sinistri la volevano «decorativa» e i mancini «prona».
«Ecco».
Se c’è una cosa difficile da definire questa è proprio Chiara Francini.
«E meno male. Perché le etichette mi gonfiano come la ribollita di mia madre. Ti vogliono sempre o in un modo o in un altro. O bella o colta. O fai cinema o fai tv. O zozza o immacolata. Ecco perché io scherzo sempre parlando delle mie “volitive” (i seni, ndr): perché sembra che se porti una quinta di reggiseno tu non possa scrivere bene o pensare bene».