È il principale motivo per cui il Napoli non giocò la semifinale di Champions. È una debolezza storica ma la memoria è selettiva e non aiuta
Al 4 di settembre, Natan non ha ancora esordito in partite ufficiali con la maglia del Napoli. Vero. Ed è pertanto legittimo avanzare più di qualche dubbio sulla scelta del club di affidare al giovane difensore brasiliano l’eredità di Kim. È innegabile che sia stata una scelta di ripiego, visto che è arrivata solo una volta sfumata l’interminabile e deprimente (per come è finita) trattativa per Danso. E non resta che augurarsi che nonostante ciò la ciambella Natan esca col buco, perché sarebbe complicato far pesare l’intera stagione sulle spalle del buon Juan Jesus. È tutto vero, verissimo.
Anche Rudi Garcia è una scelta di ripiego. Vero. È un fatto oggettivo. Tutti si sarebbero aspettati un nome altisonante, come Luis Enrique o Antonio Conte, o al massimo un allenatore più simile a Spalletti, come Roberto De Zerbi (ci sono giornali che giurano che De Laurentiis abbia provato a riportarlo in Italia) o Vincenzo Italiano. Nessuno si sarebbe aspettato Garcia, che è un ottimo allenatore ma non è né (più) un nome altisonante né un allenatore dai principi tattici affini a quelli dell’attuale cittì della Nazionale. L’ha fatto notare lui stesso fin da subito, come ha giustamente ricordato Massimiliano Gallo da queste pagine.
Tuttavia, non è onesto sostenere che il Napoli abbia preso due gol (più due in fuorigioco) dalla Lazio di Sarri perché Kim non è stato sostituito adeguatamente, o peggio ancora perché Rudi Garcia ha già rotto il giocattolo di Spalletti. Questo non è vero. Ed è addirittura vergognosa la shitstorm verso Juan Jesus, che è tra l’altro incolpevole in tutte le situazioni finite sotto la lente di ingrandimento.
In fondo, basta dare uno sguardo alle puntate immediatamente precedenti alla liberatoria festa scudetto – forse dimenticate nell’euforia – per rendersi conto che non è la prima volta che il Napoli palesa alcuni problemi in fase di transizione negativa. Diciamo pure, per rinfrescare la memoria, che è il principale motivo per cui gli azzurri di Spalletti non hanno giocato la semifinale di Champions League l’anno scorso. L’analisi tattica pubblicata dal Napolista dopo il terzo round tra Napoli e Milan (4-0 per i rossoneri in campionato, e poi 1 a 0 ed 1 a 1 in Champions League), d’altronde, spiegava proprio la capacità di Pioli di sfruttare quello che veniva definito «il grande bug di sistema del Napoli di Spalletti, ovvero l’incapacità di difendere bene in transizione negativa o in spazi aperti».
Sono parole che potrebbero essere copiate quasi pari pari per raccontare quanto è accaduto sabato al Maradona contro la Lazio, che nel secondo tempo ha creato problemi al Napoli ogni qual volta è riuscita in qualche modo – con un’invenzione di Luis Alberto, una pressione fatta bene o un dribbling di Felipe Anderson – a saltare la pressione, via via sempre più blanda, del centrocampo e degli esterni difensivi del Napoli. E che cos’è, questo, se non quello che riuscirono a fare Brahim Diaz, Leao e Bennacer qualche mese fa? Eppure all’epoca Kim c’era (due volte su tre, la terza era squalificato) e pure Spallettone. Ad aprile i palloni in uscita li persero Lobotka e Ndombelé, stavolta li hanno persi Zielinski e Rrahmani; ad aprile qualche intervento fu bucato da Di Lorenzo e ancora da Lobotka, oggi da Olivera. Il risultato, però, è stato lo stesso. E deve preoccupare esattamente quanto preoccupò ad aprile: il giusto. Perché alla fine della scorsa stagione il centrocampo finì a fare poco filtro per un’innegabile stanchezza, quest’anno – è quanto lascia pensare il crollo del sessantesimo minuto – probabilmente per i carichi di lavoro.
Tutto questo, ovviamente, non esime e non esimerà nessuno dall’assumersi le proprie responsabilità, dal club all’allenatore fino ai calciatori. Ma chiarisce, semmai, che per prendere cinque attaccanti (della Lazio o del Milan) che imbucano una difesa lasciata colpevolmente sola a causa dell’inceppamento di alcuni meccanismi di squadra non basta né Juan Jesus, né Kim, né Natan. E che alcuni problemi difensivi non se li è portati Garcia dall’Arabia Saudita con la valigia, ma probabilmente erano già emersi in altre circostanze. Il tema, dopo tre giornate, non può essere né la nostalgia né la caccia al colpevole. Sarebbe più utile – oltre che estremamente più interessante – provare a capire come lavorerà il tecnico francese, che ha sempre dato alla fase difensiva una certa importanza. A giudizio di chi scrive, non è peregrino aspettarsi, già dalla ripresa, una squadra meno frenetica e un po’ più bassa, specie in attesa di recuperare una condizione atletica che permetta di giocare un certo tipo di calcio almeno per settanta o ottanta minuti. Non è detto che sia un male, visto che una grande squadra non è quella che va sempre a mille, ma quella che sa essere – come disse Spalletti stesso in una delle prime conferenze stampa da allenatore del Napoli – «da bosco e da riviera».