Ascolti bassi, scioperi, critiche di Magic Johnson, la Hbo la cancella dopo la seconda stagione. Il produttore: “lanciamo pomodori alla Hbo”
“Winning Time” chiude i battenti. Dopo due sole stagioni, la serie televisiva incentrata sulla storia della dinastia dei Lakers di “Magic” Johnson, non avrà un seguito. HBO ha deciso ufficialmente di cancellarne la messa in onda (in Italia era trasmessa da Sky) e di non rinnovarla per un’altra stagione. Con tanti saluti agli appassionati della serie e al suo co-creatore, quel Max Borenstein che a sua volta si era rifatto, per la stesura della trama, al bellissimo libro di Jeff Pearlman, “Showtime”.
A quanto pare, oltre agli ascolti bassi (dimezzati rispetto alla prima stagione), avrebbero influito sulla decisione del colosso televisivo statunitense, anche gli scioperi sempre più frequenti nelle produzioni cinematografiche di Hollywood. Anche Robert Kirkman, produttore della serie, attraverso un tweet, ha espresso il proprio disappunto per la cancellazione: “Winning Time era la miglior serie tv in onda quest’anno. Di gran lunga. La cancellazione più pesante degli ultimi anni. Lanciamo pomodori verso la HBO.”
Come se non bastasse, lo stesso “Magic”, nelle scorse settimane, si era detto alquanto contrariato da alcune caratterizzazioni del suo personaggio (interpretato magistralmente da Quincy Isaiah).
Insomma, il destino di “Winning Time” era già segnato. Eppure, le premesse per una buona riuscita del prodotto, c’erano tutte. Una storia avvincente, un cast variegato e un immaginario, quello del basket a stelle e strisce della prima metà degli Anni Ottanta, che ancora oggi fa molta presa sul pubblico. E non solo fra i nerd della palla a spicchi. Certo, probabilmente di Johnson sono stati sottolineati più i difetti umani che gli assist vincenti, più le fragilità da star che il suo sorriso sornione, ma si tratta di esasperazioni che, nell’economia di una serie, servono a rendere la trama ancor più avvincente e alla portata di tutti.
E poi c’è l’aspetto sociologico. Perché “Winning Time”, alla fine, non è altro che il racconto della (grande) rivalità Los Angeles-Boston, che negli anni 80 andava ben al di là della pallacanestro. Da una parte la città californiana, progressista e glamour, degna rappresentante dell’edonismo reaganiano. Dall’altra la città universitaria per eccellenza, snob e conservatrice, molto simile, per certi versi, alla sua stella cestistica dell’epoca (nonché, acerrimo rivale di Johnson), Larry Bird. E poi, ancora, la lucida follia di Jerry Buss (proprietario di quei Lakers), il fiuto per gli affari di sua figlia Jeanie, il carisma dell’altra grande stella della franchigia gialloviola, Kareem Abdul-Jabbar. Notevoli pure le ambientazioni. Non si tratterà della serie del decennio, ma “Winning Time” avrebbe meritato un epilogo diverso. Anche e soprattutto per non lasciare a bocca asciutta tutti coloro che avevano già guardato le prime due stagioni e che, attualmente, fanno ancora fatica a metabolizzare il finale “aperto” dell’ultimo episodio.