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Leonardo David, una tragica storia italiana

Promessa dello sci nel 1979. Poi una brutta caduta, una diagnosi sbagliata, la decisione di farlo gareggiare, sei anni di agonia. I genitori persero il figlio e anche la causa con la federazione

Leonardo David, una tragica storia italiana

Il 27 settembre sarebbe stato il compleanno di Leonardo David l’astro nascente dello sci che morì per causa ancora non chiare nel 1979. Remo Gandolfi lo ricorda su storiemaledette.com.

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“Se mi avessero detto che al mio primo gigante in Coppa del Mondo sarei arrivato terzo dietro due mostri come Stenmark e Luescher mi sarei messo a ridere come un matto!

Se poi mi avessero detto che nemmeno due mesi dopo avrei vinto la mia prima gara di Coppa del Mondo, guardando dal gradino più alto del podio due fenomeni come lo stesso Stenmark e Phil Mahre beh … avrei dato io del matto a chi avesse fatto un pronostico del genere!

Invece è andata proprio così.

Una stagione pazzesca, con altri podi ed altri piazzamenti nei primi 10.

La grande “valanga azzurra” che ha incantato per più di un lustro il mondo dello sci alpino comincia però ad accusare il peso degli anni.

Sia Gustav Thoeni che Piero Gros sono ancora in squadra ma diventa sempre più difficile per loro riuscire a salire sul podio.

C’è Herbert Plank che è un grande discesista ma forse anche per lui gli anni migliori sono alla spalle.

Fausto Radici ed Erwin Stricker si sono ritirati da poco. Tino Pietrogiovanna ed Helmut Schmazl già da qualche anno.

Solo che quando ti abitui alle vittorie come ci hanno abituati questi grandi campioni dopo diventa difficile accettare risultati di livello inferiore.

Su Paolo De Chiesa sono riposte molte speranze ma quest’anno sapevamo tutti che sarebbe stato un anno difficile.

Io lo scorso anno ho vinto la Coppa Europa ma a 18 anni forse è lì che dovrei ancora essere, magari facendo qualche “puntatina” in Coppa del Mondo quando si gareggia qua da noi in Italia.

Invece mi hanno buttato nella mischia della Coppa del Mondo fin da inizio stagione.

Ragazzi, vedere da vicino Ingemar Stenmark, Phil Mahre, Peter Muller, Ken Read o Peter Luescher … tutta gente che fino all’anno scorso ammiravo in televisione.

Ho sentito subito tanta fiducia e tanto calore attorno a me.

Gustavo e Pierino non hanno mai smesso di darmi consigli ed è soprattutto grazie a loro che a Schladming, nel primo gigante della stagione, sono riuscito ad arrivare al cancelletto di partenza con un po’ meno tremarella di quella che mi sarei aspettato.

“La neve e i paletti sono gli stessi di quando correvi in Coppa Europa Leo” mi ha detto Gustavo con la sua proverbiale flemma mentre risalivamo con lo skilift prima della gara.

“Vai giù come sai fare e non pensare a nulla” mi da detto Pierino con il suo proverbiale entusiasmo mentre ci scaldavamo poco prima di partire.

E alla mia prima gara di Coppa del Mondo sono salito sul podio.

Terzo, dietro due “mostri” come Ingemar Stenmark e Peter Luescher.

Roba da favole, mica da realtà.

E quindici giorni dopo a Kranjska Gora stessa storia, stavolta in slalom speciale.

Ancora un 3° posto e ancora Ingemar Stenmark sul gradino più alto del podio.

E poi ancora piazzamenti, qualche manche davvero bella e qualche errorino qua e là … ma la consapevolezza che me la potevo davvero giocare con tutti quanti che cresceva di gara in gara.

Fino a quel giorno magico, meraviglioso e indimenticabile.

La mia prima vittoria in Coppa del Mondo, nello slalom di Oslo.

Il regolamento della Coppa del Mondo quest’anno è cambiato.

Gli organizzatori le stanno davvero tentando tutte per fermare lo strapotere di Ingemar Stenmark e così si sono inventati un cervellotico sistema che fa si che se vuoi vincere la Coppa di cristallo devi per forza fare le discese libere.

A me la discesa libera piace, perché mi piace la velocità.

Ho sempre pensato che se il mio papà non mi avesse trasmesso i geni dello sciatore, avrei voluto fare il pilota di rally.

Però devo imparare tante cose, ad esempio non mi riesce naturale “lasciar correre gli sci” nei tratti di scorrimento a differenza di quando devo aggirare i paletti di uno slalom o impostare delle curve.

Per questo motivo sono qui negli Stati Unite, a Lake Placid per una delle ultime gare della stagione.

Qui l’anno prossimo si faranno le Olimpiadi Invernali e mi hanno mandato qua per fare esperienza proprio in discesa, e proprio nella pista dove si disputerà la prova iridata.

E sono qui proprio per questo motivo … perché in fondo, come dicono i Rolling Stones, alla mia età, a 18 anni, “Time is on my side”.

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La discesa libera di Lake Placid sarà l’ultima volta in cui Leonardo David metterà un paio di sci ai piedi.

È il 3 marzo del 1979.

Da un paio di settimane Leo ha dei fortissimi mal di testa, nausea e vertigini che gli impediscono di allenarsi come vorrebbe e perfino di riposare come vorrebbe, nonostante valanghe di analgesici.

Guai che sono lo strascico di una caduta nella prova di discesa libera valida per i campionati italiani, disputatisi a Cortina d’Ampezzo il 16 febbraio.

Leonardo cade, battendo la testa sul ghiaccio.

L’impatto è importante a tal punto che il giorno successivo Leo decide di non partecipare alla prova di slalom speciale. Si reca invece all’ospedale di Lecco per accertamenti.

Tutto negativo.

“Sono i postumi della caduta” gli dicono. “Qualche giorno a andrà tutto a posto”

Leonardo David riprende gli allenamenti.

Solo che non va “tutto a posto”.

Anzi, è una sofferenza pazzesca.

Paolo De Chiesa, suo compagno di squadra e amico racconterà che Leo gli disse che “il rumore dei miei sci che sbattono sul ghiaccio mentre scendo mi fa scoppiare la testa”

Leo è un duro, uno di quei montanari coriacei, sempre positivo anche se di poche parole, che non teme nulla e minimizza tutto.

“e poi l’hanno detto i dottori … roba di qualche giorno …”

Leo si presenta al cancelletto di partenza della discesa libera di Lake Placid.

Il mal di testa non se n’è mai andato anche se sono passati ormai quasi 20 giorni dalla caduta di Cortina.

La sua prestazione è più che dignitosa, considerando le sue condizioni, gli allenamenti a singhiozzo delle ultime settimane oltre al fatto che lui è essenzialmente un uomo da “pali”, stretti o larghi che siano.

Leonardo è ormai nello “schuss” finale, a poche centinaia di metri dall’arrivo.

Quando accade qualcosa di strano, quasi inspiegabile, in un tratto che non presenta più insidie.

Una banale “spigolata”, i suoi sci che si toccano e Leo che finisce a terra quando la sua velocità è abbondantemente sopra i 100 km all’ora.

La caduta sembra innocua, come tante se ne vedono nelle gare di sci.

Infatti Leo si rialza, taglia il traguardo anche se con uno sci solo.

Sembra tutto ok.

Solo che qualche metro dopo crolla letteralmente tra le braccia di Piero Gros.

È l’inizio della fine.

Leonardo David cade in uno stato di coma vigile, dal quale non si riprenderà mai più.

Nonostante tante operazioni, negli Stati Uniti, in Italia e poi a luglio dello stesso anno nella clinica del celebre Prof. Gerstenbrandt all’ospedale di Innsbruck.

Quest’ultima operazione sarà illuminante, anche se inutile per il povero Leo.

Accerterà infatti che Leonardo David soffriva di un ematoma preesistente alla caduta sulla pista olimpica di Lake Placid.

La lesione gli era stata causata dalla caduta di Cortina.

Leonardo tornerà a casa dopo un anno passato senza i progressi sperati nella clinica di Innsbruck, nella sua Gressoney, nell’agosto del 1980, dopo averle davvero tentate tutte.

Il papà Davide, la mamma Mariuccia, la sorella Daniela veglieranno su di lui incessantemente, fra qualche piccolo segnale di speranza e tanta sofferenza, per quasi 6 anni.

Fino al 26 febbraio del 1985, quando un emorragia cerebrale si porterà via Leo.

La famiglia non ci sta, non riesce e non vuole accettare una fine così.

Per loro è omicidio colposo.

Inizia una interminabile querelle legale contro la Federazione Italiana di sci alpino, colpevole, secondo i famigliari di Leonardo, di non aver fatto abbastanza per il loro caro, di non aver prestato abbastanza attenzione a quanto accaduto a Cortina e di avere colpevolmente spinto Leonardo a continuare a gareggiare nonostante le sue condizioni fossero tutt’altro che ideali.

Un processo con una richiesta di “risarcimento” conclusasi con un’altra mazzata per la famiglia del povero David; non solo nessun risarcimento economico ma l’obbligo di assumersi in toto le spese processuali per rimborsare le spese legali di Coni, Fisi e Commissione Medica.

Qualcosa come 140 milioni delle vecchie lire.

Perdere un figlio e poi questa beffa atroce…

Di Leonardo resta una stele posta nella piazza principale di Gressoney ma soprattutto restano la consapevolezza di aver perso un talento assoluto che avrebbe potuto scrivere una pagina fondamentale dello sci italiano, come Thoeni prima di lui o Alberto Tomba dopo e resta la rabbia per aver perso un ragazzo giovanissimo che forse, con un po’ più di cura, sensibilità e attenzione, oggi sarebbe ancora tra noi.

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